Moni Ovadia. L'utopia

Un luogo in cui non siamo ancora stati

Moni Ovadia, intervistato al Festival Materadio, la festa di Radio3 del 2016 Utopie e Distopie, parla di utopia, che definisce come un luogo in cui non siamo ancora stati.
Per esempio l’emancipazione femminile era impensabile fino a non molti anni fa, mentre la pace  è un’utopia, perché non c’è mai stata.
Oggi, come ha detto il Papa, noi siamo in guerra e le guerre, definite umanitarie, producono un aumento esponenziale della violenza terroristica.

La pace è un’utopia nel senso del possibile ma bisogna che ce ne sia la volontà. Basterebbe per esempio iniziare a non vendere quelle armi che l’Occidente vende per esempio all’Arabia Saudita, e che in parte finiscono all’Isis.


Chi non vuole accreditare l’utopia preferisce l’asservimento allo status quo. Abbiamo avuto un’utopia straordinaria in Sudafrica con Nelson Mandela, che è riuscito a cambiare il suo paese senza un bagno di sangue. E Nelson Mandela ci ha lasciato un’eredità: la pace non è un sogno, ma per costruire la pace bisogna sapere sognare.
L’Utopia è stata inaugurata da Abramo, che rende l’uomo padrone della propria vita:

Il Dio di Abramo è la consapevolezza dell’uomo che si rivela, invitandoci ad abbandonare le strutture del potere per andare verso la socialità e poi il Cristianesimo è stato rivoluzionario. Gesù dice: “Ciò che fai allo straniero lo fai a me”, per cui se non accogliamo lo straniero non possiamo definirci cristiani.


Moni Ovadia nasce a Plovdiv in Bulgaria nel 1946, da una famiglia ebraico-sefardita. Dopo gli studi universitari e una laurea in scienze politiche ha dato avvio alla sua carriera d'artista come ricercatore, cantante e interprete di musica etnica e popolare di vari paesi. Nel 1984 comincia il suo percorso di avvicinamento al teatro, prima in collaborazione con artisti della scena internazionale, come Bolek Polivka, Tadeusz Kantor, Franco Parenti, e poi, via via proponendo se stesso come ideatore, regista, attore e capocomico di un "teatro musicale" assolutamente peculiare, in cui le precedenti esperienze si innestano alla sua vena di straordinario intrattenitore, oratore e umorista. Filo conduttore dei suoi spettacoli e della sua vastissima produzione discografica e libraria è la tradizione composita e sfaccettata, il "vagabondaggio culturale e reale" proprio del popolo ebraico, di cui egli si sente figlio e rappresentante, quell'immersione continua in lingue e suoni diversi ereditati da una cultura che le dittature e le ideologie totalitarie del Novecento avrebbero voluto cancellare, e di cui si fa memoria per il futuro.