Vittorio Possenti. Sul nesso pensiero-essere: Heidegger e Severino

Heidegger nel pensiero di Severino

Vittorio Possenti, intervistato in occasione del congresso internazionale Heidegger nel pensiero di Severino. Metafisica, Religione, Politica, Economia, Arte, Tecnica, che si è tenuto dal 13 al 15 giugno a Brescia, illustra i punti essenziali della sua relazione, di cui pubblichiamo di seguito il testo dell’abstract. 

Heidegger e la metafisica (HM) è un volume significativo per la vicenda teoretica di Severino, perché scritto in anni in cui egli accoglieva la metafisica classica (cfr. HM, p. 13). L’interpretazione di Heidegger è improntata ad una considerevole ‘carità ermeneutica’ che cerca nel 1950 di interpretare il filosofo tedesco come un possibile momento di riapertura dell’orizzonte della metafisica classica. La prefazione del 1994 sembra ammetterlo, sostenendo che l’analisi avrebbe dovuto essere più esigente (p. 27). Sulla scia di Bontadini, Severino ritiene allora che la filosofia della seconda modernità (idealismo), avendo superato il fossato cartesiano e kantiano tra essere e pensiero, possa condurre alla ripresa della metafisica classica.
Nell’interpretazione di Heidegger l’autore privilegia le posizioni espresse nella Lettera sull’umanismo rispetto a quelle della fine degli anni ’20 e degli anni ’30 che mandano tutt’altro suono. In effetti il mutamento negli assunti di Heidegger è notevolissimo. In Introduzione alla metafisica (IM) dinanzi alla formula parmenidea “Ora il pensare e l’essere sono la stessa cosa”, Heidegger osserva che essa è stata fraintesa in maniera clamorosa, per cui il pensiero del soggetto determina ciò che l’essere è: “L’essere non è altro se non ciò che è pensato dal pensiero. Ora siccome il pensare rimane un’attività soggettiva, e pensare ed essere devono secondo Parmenide risultare la medesima cosa, tutto diventa soggettivo” (p. 145). Accade anzi per il pensatore tedesco una separazione tra logos e physis in cui è il primo ad esercitare una giurisdizione sull’essere, con il predominio della ratio (p.184s). Quale sia la posizione finale di Heidegger sul nesso pensiero-essere non è chiaro; egli ha parteggiato per un periodo per il dualismo moderno tra pensiero ed essere (vedi Essere e tempo, n. 44), e poco dopo ha colpito l’interpretazione moderno-idealistica della formula parmenidea e la relativa logica, richiamando la primarietà della physis sul logos.
Per il Severino del 1950 il ‘fondamento metodologico’ della metafisica era l’unità originaria di pensiero e di essere (HM, p. 21), in base a cui il pensiero di Heidegger poteva risultare aperto alla metafisica classica (nonostante non poche ‘delusioni’ in merito per espressioni in opere degli anni ’20 e ’30). Da tempo questo giudizio è stato capovolto, per cui nell’Avvertenza del 1994 alla nuova ed. del volume “la vicinanza di Heidegger alla metafisica classica è la vicinanza alla matrice stessa dell’alienazione fondamentale dell’Occidente” (p. 22).
In HM l’autore sosteneva che il risultato essenziale della filosofia moderna fosse l’identità di pensiero ed essere (p. 315), da cui conseguiva la validità della metafisica classica (e tomista) accuratamente distinta dalla moderna filosofia razionalistica (pp. 328 e 329). Nel mutamento radicale di posizione tra il 1950 e il 1994 rimane un punto fermo: l’identità tra pensiero ed essere sia come base metodologica della metafisica sia come massimo risultato del pensiero moderno.
Un grande tema su cui meditare. In HM si introduce il concetto di puro pensiero come condizione trascendentale non dell’unità tra pensare e pensato, ma della capacità di manifestare l’ente, l’apriori che rende possibile il manifestare. Nello stesso tempo si sostiene che l’essere è ciò che si illumina nel puro pensiero, “ma in modo tale che il suo illuminarsi (manifestarsi) è radicalmente diverso dalla manifestazione dell’ente” (p. 337). “Il puro pensiero è la condizione ontologica del dato, essendo pensiero ed essere la stessa inscindibile unità strutturale dell’ontologicità” (p. 337). Ed eccoci al punto cruciale: non si tratta solo di sostenere l’unità pensiero-essere sostenuta massimamente dalla grande tradizione della filosofia dell’essere; si tratta di pensarla in modo determinato. Qui il realismo classico offre contributi di primo piano. Indubbiamente essere e pensiero si coappartengono, ma in che modo? Essi si relazionano in modo paritario, o invece nel modo in cui la regia ultima spetti all’essere o viceversa al pensiero? Tutto ciò ha immense implicazioni sul concetto di realtà. Questo muta nel ‘coscienzialismo’ per il quale essere reale significa essere contenuto di una coscienza in generale: si dà quindi una priorità dell’atto di coscienza come fondante sul contenuto come fondato da esso. Qui il disguido è che in quanto si pensa una realtà, questa necessariamente diventa dipendente dal pensiero e inclusa in esso, immanente e non trascendente.
Cognitum in actu et cognoscens in actu sunt unum: HM cita più di una volta questa formula aristotelica che, rappresentando l’identità intenzionale tra pensiero ed essere nel concetto, esprime nel verbo mentale la cosa intenzionata. Severino evidenzia a buon diritto che “il pensiero metafisico non deve realizzare l’impossibile compito di raggiungere un essere originariamente separato” (HM, p. 17); d’altro canto l’unità originaria di pensiero e di essere va compresa e analizzata. Non si può concedere quanto scrive Hegel nell’introduzione alla Scienza della logica: “Il pensiero nelle sue determinazioni immanenti e la vera natura delle cose sono un solo e identico contenuto” (SL, p. 26), che è formula logico-idealistica in cui il prius è il pensiero, non l’essere.
Non infrequente è poi il ricorso di HM all’altra grande formula del realismo, secondo cui nell’atto della conoscenza accade un fieri aliud in quantum aliud. Come intendere le due formule dette? La seconda esprime che nella conoscenza accade una modalità del divenire in cui portiamo in noi stessi nel concetto la forma dell’altro come altro, ossia diverso e distinto da noi. Ma se noi ritenessimo che tutta la luce provenisse dal pensiero dell’io-soggetto, l’altro in quanto altro non vi sarebbe e tutto sarebbe assorbito nell’io e riportato a se stessi; tale è la posizione di Gentile.
L’unità originaria di pensiero ed essere regge se e solo se si riconosce la distinzione tra l’io e l’altro, e si riconosce che non possiamo partire dal mondo della logica e delle idee ritenendo a priori che il razionale, il logico, sia di per sé reale. Due fondamentali considerazioni lo vietano: dapprima le determinazioni del pensiero non coincidono sempre con le determinazioni dell’essere (è pura follia pensare come reale il nihil absolutum che è solo un ente di ragione); in secondo luogo è impossibile dimenticare i sensi e la percezione sensibile, a cui Aristotele fa riferimento primario nell’enunciare l’identità di conoscente e conosciuto, poi estrapolata al piano del pensiero: anzi dobbiamo dire che il primo principio della nostra conoscenza è il senso. Il termine dell’operazione conoscitiva è l’oggetto conosciuto reale, ed è esso a specificare la conoscenza: la luce viene dall’oggetto.
Il termine raggiunto dall’intelletto – la cosa conosciuta – è altro dall’intelletto, non dipende ontologicamente da questo e anzi specifica la conoscenza dell’intelletto. Là dove l’unità tra pensiero ed essere è posta come un’ovvietà che non andrebbe analizzata, emergono equivoci teoretici inaggirabili propri di Hegel e Gentile e in buona misura del neoparmenidismo: nel primato del pensiero scompare l’astrazione dell’intelligibile dal sensibile, ossia il modo con cui opera l’intelletto umano, onde rifiutare l’astrazione significa rifiutare la condizione umana. Inoltre viene meno la materia, la prote yle che è il correlato di fondo della percezione sensibile e radicale principio di inintelligibilità. Per SO (p. 114) il pensiero è l’immediato, ed in ciò consiste il giudizio originario. Il sistema dell’indifferenziata unità pensiero-essere approda perciò al formalismo e al razionalismo assoluto, dove l’essere è completamente trasparente al pensiero e in esso risolto (vedi RE, p.272ss).
Dalla filosofia della seconda modernità (sostanzialmente l’idealismo) alla metafisica classica era il cammino per il primo Severino. A mio parere il discorso non tiene: il pensiero della seconda modernità non riapre la strada della metafisica ma la chiude senza riserve. In tale prospettiva accade un primato del logico sul fisico, quasi che quest’ultimo sia un livello degradato del logico. Bisogna dunque riprendere il cammino là dove esso si è interrotto e con la filosofia che lo aveva condotto al suo più alto sviluppo, ossia la filosofia dell’essere con la sua terza navigazione (su ciò vedi NM) In essa la partenza non è la struttura (originaria) del sapere ossia il trascendentale verum, ma il trascendentale ens.



Vittorio Possenti (Roma, 1938) dopo aver compiuto studi universitari di tipo scientifico (elettronica), ha esercitato attività di ricerca nel campo delle microonde, continuando a coltivare lo studio della filosofia, iniziato nel liceo a Torino e  maturato negli anni universitari. Ha poi deciso di abbandonare quest’attività per dedicarsi completamente alla ricerca filosofica in un’epoca in cui se ne diagnosticava la fine, e l’intento di decostruirla era all’apogèo. Dopo un periodo passato presso il rettorato dell’Università cattolica (Milano), è divenuto professore associato nella cattedra di Storia della filosofia morale e poi ordinario in quella di Filosofia politica presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Venezia. E' membro del Comitato Nazionale di Bioetica, della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e della Pontificia Accademia di san Tommaso d’Aquino. Ha progettato presso l’Istituto di Studi Filosofici di Milano (1975-1981) numerosi seminari di approfondimento e convegni, e ha diretto dal 1979 al 1995 la collana "Scienze umane e filosofia" (Massimo, Milano). Ha partecipato a numerosi seminari internazionali in specie in Francia e Usa. Ha fondato e dirige ''Seconda navigazione. Annuario di filosofia'' (Mondatori e Guerini, Milano, 1997-), è redattore delle riviste ''Per la filosofia''; ''La società''; ''Sensus Communis''; collabora ad alcuni quotidiani. Da vari anni dirige preso l’università di Venezia il Centro interdipartimentale di ricerca sui diritti umani (Cirdu).La produzione di Possenti copre 25 titoli di volumi e varie centinaia di saggi, dedicati alla politica, metafisica, etica e bioetica. Suoi libri e saggi sono tradotti in 10 lingue. E’ curatore di ca. 15 volumi. Negli anni della formazione liceale e universitaria Possenti è stato attratto dalla storia delle civiltà, ispirato da giovanili letture di Vico e di A. Toynbee; e dall’epistemologia della fisica e dalla logica della scienza (A. Einstein, P. W. Bridgman). Nutrì allora l’idea einsteniana che le teorie filosofiche dovessero elevarsi su una schietta base scientifica, generalizzandola; e si interessò al conflitto tra religione e scienza imperniato sull’idea di un Assoluto personale/impersonale. A vent’anni ha incontrato l’istanza metafisica e umanista attraverso le opere di Maritain e di Tommaso d’Aquino, intuendo le possibilità speculative e liberanti incluse nella rivelazione cristiana. Filosofia dell’essere, personalismo, scuola del realismo conoscitivo hanno influito sul suo pensiero, in base all’idea che la filosofia non è una conoscenza "lunare", che vive di luce riflessa e senza un oggetto specifico, ma possiede un proprio accesso al reale e si struttura come sapere. La partecipazione ai dibattiti civili e teologici degli anni ’60 ha dischiuso orizzonti politici, tra cui quello della pace, mentre un permanente interesse ha indirizzato l’A. verso l’intreccio tra messaggio cristiano e questioni morali e civili. Lo studio di numerosi grandi della filosofia, da Aristotele a Kant, da Schelling a Nietzsche, da Heidegger a Bergson, da Gentile a Popper, ha consentito un confronto con posizioni diverse e arricchito il quadro dell’A.