Gianfranco Maddoli. Magna Graecia

L'origine delle colonie achee dell'Italia meridionale

Partendo dal richiamo al fenomeno storico della colonizzazione in Occidente, Gianfranco Maddoli spiega l’origine della denominazione Megale Hellàs, in latino Magna Graecia (o, in alcune fonti latine, Graecia Maior), fino ad oggi usata in senso generale per indicare l’impronta culturale lasciata dai Greci che fondarono colonie in Italia meridionale e in Sicilia.
Movendo dalle fonti più antiche che la attestano (Timeo, III sec. a.C.; Polibio, II sec. a.C.) si passa alle fonti latine, soprattutto Cicerone ma anche molti altri autori della prima età imperiale, per finire ai filosofi neo-pitagorici (Porfirio e Giamblico (III-IV sec. d.C.): la maggior parte delle fonti ne indica la nascita nel quadro del primo Pitagorismo, collegato alla venuta del filosofo Pitagora a Crotone alla fine del VI secolo a.C. Il Pitagorismo più antico si diffuse inizialmente nell’area delle colonie cd. “achee” (Sibari, Crotone, Caulonia, Metaponto) ed ebbe anche un risvolto politico, con la presa del potere nelle principali poleis dell’area: una predominanza che copre la fine del VI e si interrompe alla metà del V secolo. La denominazione sarebbe insomma dovuta ai Pitagorici delle colonie achee, che ripensavano nel suo complesso la storia degli Achei nel quadro delle diverse stirpi greche.
    La vicenda degli Achei si può così riassumere: esisteva una piccola regione della Grecia continentale che si chiamava Achaia Ftiotide, posta al limite meridionale dell’antica Tessaglia; essa, patria dell’eroe Achille, fu il cuore della più antica piccola Hellàs. Quando gli eserciti di quella che più ampiamente prese poi il nome di Hellàs/Grecia si riunirono attorno ad Achille nella guerra contro Troia essi ebbero nel loro complesso il nome di pan-Hellenes o Achaiòi, Achei. Erano gli abitanti di quella che oggi chiamiamo Grecia “Micenea”, dal nome del regno reso celebre da Omero e, alla fine dell’Ottocento, dagli scavi di Schliemann. Gli Achei “micenei” subirono un grave colpo in seguito alla cd. “invasione dei Dori”, verso la fine del XII secolo a.C., che a partire dal sud del Peloponneso – dove si trovava appunto Micene – si spinsero verso nord fino ad occupare parte della Grecia peninsulare e continentale; gli Achei furono costretti a ritirarsi nel nord del Peloponneso, nella fascia lungo il golfo di Corinto, dove fondarono le loro poleis cacciando i vecchi abitanti Ioni. Gli Achei di questa Acaia storica fondarono a loro volta (verso la fine del secolo VIII a.C.) le colonie achee in Italia meridionale, dove, a partire dalla fine del VI, si sviluppò il Pitagorismo. 
    

Furono questi Achei, orgogliosi di aver conquistato a spese degli indigeni un ampio territorio che arrivava fino al mar Tirreno (Terina, Posidonia/Paestum), a elaborare il concetto di Magna Grecia. 


Nella sistemazione del loro patrimonio mitico l’eroe Acheo era riuscito a tornare in possesso dell’antica Acaia Ftiotide, dalla quale era partita la loro espansione e diffusione dall’Egeo alla Calabria. 

Ricostruendo e riproponendo l’itinerario secolare che aveva portato le ultime generazioni ad affermarsi ampiamente nell’attuale Calabria e oltre anche grazie al livello culturale del Pitagorismo, essi non mancarono di sottolineare, vantandosene, che, in quanto originari e quindi detentori del nome della più antica Hellàs, essi, e solo essi, erano riusciti a rendere Megale, “grande”, la piccola Grecia delle origini. Un motivo di orgoglio consolidatosi in una denominazione. 


Ma nessuna delle altre stirpi greche antagoniste era disposta a riconoscere loro questo merito, tant’è che i grandi storici, da Erodoto a Tucidide a Senofonte, non lo menzionano mai. 

Cancellato quel nome dalla rivolta di indigeni e nemici interni dei Pitagorici intorno alla metà del V secolo a.C., esso rinacque dalla memoria a distanza di secoli, ma venne esteso a tutta la Grecità dell’Italia meridionale. E tuttora come tale sopravvive. Gli studiosi moderni, fin dall’Ottocento, hanno proposto ipotesi diverse sulle ragioni di quella antica denominazione, ma solo in anni recentissimi ne è stata chiarita la vera origine.


Gianfranco Maddoli nasce nel 1938 a La Spezia, ma la sua prima formazione ha luogo a Perugia e a Firenze dove si laurea nel 1961 in “Storia Greca” con Giovanni Pugliese Carratelli con una tesi sulla religione greca nelle tavolette micenee recentemente decifrate. Borsista e poi Assistente volontario presso la cattedra di Storia Greca dell'Università di Firenze, nel 1964/65 insegna Latino e Greco nel Liceo Classico di Perugia; nel 1965 vince il concorso nazionale per la Scuola Archeologica Italiana di Atene, dove segue i corsi di Doro Levi e partecipa allo scavo di Festòs (Creta). Dal 1966 al 1970 è Ricercatore presso l'Istituto per gli Studi Micenei ed Egeo-Anatolici del CNR.  Ottenuta la Libera Docenza in “Storia greca”, insegna nella Università di Lecce e Siena) e dal 1972/3 a Perugia come Professore Incaricato e poi ordinario di “Storia greca”. Negli anni ‘70 promuove una ricerca interdisciplinare e interuniversitaria (Perugia, Lecce, Napoli, Università della Calabria, Catania) per l’individuazione dell’antico centro di Temesa sul litorale tirrenico dell’Italia meridionale, concluso con un Convegno a Perugia e Trevi e con la focalizzazione del sito oggetto di indagine. Negli stessi anni avvia lo studio dell’opera geografica di Strabone, coinvolgendo molti studiosi e dando vita a una serie di pubblicazioni e di convegni, di cui restano importanti Atti. Ha tenuto corsi presso la Scuola di Perfezionamento in Archeologia e Storia Antica dell'Università di Pisa e ha soggiornato più volte in diverse università della Germania (Freiburg i. Br., Tübingen, Berlin), insegnando nell'Università di Bielefeld per due semestri (1979 e 1981). Membro docente del Dottorato inter-universitario Pisa-Perugia-Pavia in “Storia Antica”, nel 2009 è stato proposto dal Consiglio di Dipartimento e dai Consigli di Facoltà di Lettere e Filosofia unanimi per la qualifica di “Professore Emerito” (iter non completato in tempo utile per inadempienza dell’Amministrazione). In veste di ricercatore ha effettuato studi e ricerche in diversi campi della storia antica, dal mondo miceneo all'età ellenistica e romana. In particolare, si è molto dedicato allo studio della Magna Grecia e della Sicilia, chiarendo per la prima volta l'origine della denominazione "Megale Hellàs". È membro del Consiglio Scientifico della Società Magna Grecia (A.N.I.M.I) e membro dell'Istituto per la Storia e l'Archeologia della Magna Grecia (Taranto). Ha curato due raccolte di studi del suo Maestro Giovanni Pugliese Carratelli, rispettivamente per l’ed. Il Mulino (1990) e per l’ed. Rubbettino (2015). Dal 1991 si è occupato intensamente di Iasos, città della Caria (nell’attuale Turchia), dove ha operato come epigrafista nella Missione Archeologica Italiana. Socio della Fondazione Valla (Mondadori), è membro o corrispondente di diversi Istituti e Accademie (Accademia di Archeologia e Lettere di Napoli, Studi Etruschi, Istituto per la Storia e l'Archeologia della Magna Grecia, Accademia delle Scienze dell’Umbria) e della redazione delle riviste scientifiche “La Parola del Passato”, “Geographia Antiqua”, “Atene e Roma”, “Atti e Memorie della Società Magna Grecia”.