Silvia Andreoli. La fiaba come genere letterario

La narrazione del meraviglioso

Nel video Silvia Andreoli parla dell’importanza della fiaba nella nostra cultura. La fiaba è un racconto che ha a che fare con il meraviglioso e nasce come genere letterario agli inizi del XVII secolo con Lo Cunto de li Cunti di Giambattista Basile
Il fatto che tra i libri più tradotti al mondo, dopo la Bibbia e il Corano, troviamo Il Piccolo Principe, Pinocchio e Alice nel paese delle meraviglie dimostra che delle fiabe non sappiamo abbastanza. Le  fiabe nascono per gli adulti e nascono vere e nere, perché parlavano della vita, delle paure e delle aspettative di ciascuno di noi. 
 

Le fiabe sono vere. Sono, prese tutte insieme, nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita, nata in tempi remoti e serbata nel lento ruminio delle coscienze contadine fino a noi; sono il catalogo di destini che possono darsi a un uomo e a una donna, soprattutto per la parte di vita che è appunto il farsi d’un destino: la giovinezza, dalla nascita che sovente porta in sé un auspicio o una condanna, al distacco dalla casa, alle prove per diventare adulto e poi maturo, per confermarsi come essere umano. E in questo sommario disegno, tutto; la drastica divisione dei viventi in re e poveri, ma la loro parità sostanziale; la persecuzione dell’innocente e il suo riscatto come termini d’una dialettica interna ad ogni vita; l’amore incontrato prima di conoscerlo e poi subito sofferto come bene perduto; la comune sorte di soggiacere a incantesimi, cioè d’essere determinato da forze complesse e sconosciute, e lo sforzo per liberarsi e autodeterminarsi inteso come un dovere elementare, insieme a quello di liberare gli altri, anzi il non  potersi liberare da soli, il liberarsi liberando; la fedeltà a un impegno e la purezza di cuore come virtù basilari che portano alla salvezza e al trionfo; la bellezza come sogno di grazia, ma che può essere nascosta sotto spoglie d’umile bruttezza come un corpo di rana; e soprattutto la sostanza unitaria del tutto, uomini bestie piante cose, l’infinita metamorfosi possibilità di metamorfosi di ciò che esiste»
Italo Calvino, Sulla fiaba


    

La fiaba è forse una forma ‘decaduta’ del mito [Otto Rank], ma sicuramente è ‘l’ultima forma nella quale la produzione mitica è ancora sopportabile per l’uomo civilizzato. 
Nicole Belmont, Poetica della fiaba

 

Le fiabe procedono dal mitico, che è l’espressione della poesia naturale, e di cui esse sarebbero come dei frammenti esplosi. 
“Questi elementi del mitico somigliano ai piccoli frammenti di una pietra preziosa sparsi sul suolo ricoperto d’erba e di fiori che solo uno sguardo più penetrante degli altri può scoprire. Il loro significato si è perduto da tempo, ma lo si percepisce ancora; è questo significato che incarna il senso del racconto e che, nello stesso tempo, soddisfa la nostra attrazione naturale per il meraviglioso”. Jacob Grimm, citato da Nicole Belmont, Poetica della fiaba

 

Le fiabe sono estremiste.
Le fiabe sono elettive.
Le fiabe sono profetiche.
Le fiabe sono emblematiche. I protagonisti di fiaba non sono personaggi ma emblemi.
Le fiabe sono sapienziali, rimettono in movimento tutto il nostro sostrato mitico e religioso di specie e lo perturbano.
Le fiabe sono elementari e violente, perché non accolgono spiegazioni parziali e di superficie dell’incombente presenza del male nel mondo.
Le fiabe possono essere contraddittorie. Non obbediscono alla pretesa filosofica della ragione separata da tutto il resto e del suo astratto teorema di non-contraddizione, perché anche la filosofia si è inventata la propria fiaba e Spinoza e Plotino si sono conquistati l’onore di stare accanto a Biancaneve e alla Bambina dei fiammiferi.
Le fiabe possono essere smaccatamente consolatorie – perché gli uomini hanno a volte anche bisogno di essere consolati – oppure veritiere e terribili fino alla crudeltà.
Le fiabe sono state inventate da bambini che sono poi diventati adulti e da adulti che sono diventati bambini, da adulti che per diventare tali hanno ucciso dentro di sé il bambino che erano e che perciò hanno bisogno di vendicarsi sui bambini, e da bambini morti che risorgono dentro gli adulti che li avevano uccisi.
[…] Perché nelle fiabe non ci sono solo lo specchio del mondo e la sua speculare realtà, perché nelle fiabe lo specchio si rompe, le apparenze possono sempre nascondere qualcos’altro che un incantesimo, un gesto di lealtà, di coraggio, d’amore, addirittura un semplice bacio possono liberare e svelare.
Antonio Moresco, Fiabe





Silvia Andreoli è nata a Verona, ha studiato a Milano e ha scelto Parigi come città in cui nascondersi per scrivere. Ha esordito giovanissima nel 2004 con Malvina (La Tartaruga) e nel 2005 con Busserò per prendere la notte (Baldini&Castoldi), poi ha preso una pausa di riflessione e studio per tornare nel 2018 con il romanzo Nera come una fiaba (Morellini Editore). Suoi racconti sono presenti nelle antologie Lettere alla madre (2018) e Lettere al padre (2020).