Valerio Petrarca: «Il nostro destino culturale»
Ernesto De Martino
Il modo con cui De Martino considera le espressioni rituali permette di attraversare, senza perdersi, lo svolgimento della sua opera. Con un libro del 1958, Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria, De Martino precisa meglio in che modo i riti in azione possono diventare un documento per l’antropologia e la storia delle religioni. Il pianto rituale delle donne lucane, che De Martino aveva visto con suoi occhi, lo spinge a rileggere le fonti antiche per recuperare informazioni sul linguaggio del corpo. La novità del cristianesimo, nel panorama delle civiltà religiose antiche, si presenta allora proprio come novità rituale funebre, dove non si dovrebbe piangere «come quelli che non hanno speranza». Riti e credenze con cui i primi cristiani trattano la morte e il morto costruiscono l’idea di persona e quella della sua relazione con il divenire storico, secondo la promessa di un Regno da compiersi ora nella prospettiva religiosa della fine del mondo ora in quella secolarizzata del destino culturale dell’Occidente.
È dunque possibile interpretare la genesi del protocristianesimo come la esemplarizzazione di una storica risoluzione di una crisi del cordoglio: risoluzione che trasforma Gesù morto nel Cristo risorto, e il morto-che-torna della crisi nel morto-risorto presente nella Chiesa e per eccellenza nel banchetto eucaristico, sino a quando il già accaduto della promessa sarà compiuto mediante lo slancio missionario. Ciò suggerisce un approfondimento ulteriore della tesi di Morte e pianto rituale nel mondo antico e autorizza a interpretare il Cristianesimo come un grande rituale funerario per una morte esemplarmente risolutiva del vario morire storico e come pedagogia del distacco e del trascendimento rispetto a ciò che muore.
Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali [1977], nuova edizione a cura di G. Charuty, D. Fabre, M. Massenzio, Torino, Einaudi, 2019.
Il rapporto conoscitivo con l’ethos è problema nato in Occidente, e la sua sola formulazione trascina implicitamente in causa tutto quel corso di atteggiamenti culturali che ha avuto inizio con la scoperta del Nuovo Mondo e che ha messo capo alla etnologia come scienza. Questo rapporto, inevitabilmente, comporta l’impiego di unità di misura maturate nella storia occidentale: l’unica richiesta legittima è di verificare tali unità di misura, di rimetterle in causa, di provarle e riprovarle in occasione dell’incontro con l’etnos o di modificarle nel progresso umanistico che la materia etnologica stimola: ma, in ogni caso, si tratterà sempre di «reazioni occidentali», sia pure controllate dalla presa di coscienza metodica della storia dell’Occidente e sia pure inserite nel quadro di un «Occidente in movimento» in virtù della efficacia dinamica che ogni «esame di coscienza» suscita. Non ha invece nessun senso la pretesa di collocare la cultura occidentale «fra» tutte le altre, e fingere di poter contemplare da apolide tutte le culture, in una sorta di oggettivismo metaculturale e metastorico.
Ernesto De Martino, Promesse e minacce dell’etnologia, in Id. Furore, simbolo e valore [1962], Milano, Il Saggiatore, 2013.
Valerio Petrarca è stato borsista dell’«Istituto ‘Croce’» e insegna Antropologia culturale nell’Università di Napoli Federico II. Ha insegnato anche in altre istituzioni, come l’École des Hautes Études en Sciences Sociales e la Fondation Maison de Science de l’Homme di Parigi.
Le sue ricerche si basano sull’indagine etnografica e storica. Riguardano i fenomeni sociali e religiosi dell’Africa contemporanea e la cultura popolare europea in età moderna. Tra le sue pubblicazioni: Prophètes d’Afrique noire au XXe siècle, in Prophètes et prophétisme, dir. A. Vauchez, Seuil, Paris 2012; I pazzi di Grégoire, Sellerio, Palermo 2021; Messia nero, Viella, Roma 2022; Di Santa Rosalia Vergine Palermitana, Sellerio, Palermo 2022.