La formazione di Alessandro Manzoni

Guido Davico Bonino sul primo Manzoni

Guido Davico Bonino ricostruisce la prima parte della vita e dell'opera di Alessandro Manzoni. Figlio di Giulia Beccaria e del conte Pietro Manzoni, il giovane Alessandro riceve prima un'educazione religiosa, presso i Somaschi e i Barnabiti, poi s'immerge nella cultura laica e giacobina, approdando al deismo volteriano. La conversione al cattolicesimo avviene, infine, attorno al 1810. Già nel 1812 Manzoni scrive gli Inni sacri, che da dodici, quanti erano nel progetto originario, si riducono a cinque (La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione, La Pentecoste). Gli Inni rappresentano, secondo Davico Bonino:

un coraggioso tentativo di apologetica cristiana, indirizzato a quella borghesia colta e progressiva a cui, secondo i romantici, la nuova letteratura doveva rivolgersi.

Allo stesso pubblico è destinata la riflessione storico-politica delle Odi del 1821, Marzo 1821 (sui moti di quello stesso anno) e Il cinque maggio (sulle vicende legate all'ascesa e alla caduta di Napoleone). L'attore Umberto Cerioni legge dagli Inni sacri, La Pentecoste e dalle Odi, Marzo 1821.

Alessandro Manzoni (Milano, 1785-1873) è uno degli autori più importanti della storia della letteratura italiana: romanziere, scrittore e drammaturgo, deve buona parte alla sua fama a I promessi sposi, considerato vero e proprio caposaldo della nostra letteratura. L'importanza dell'opera (così come della sua prima stesura, Fermo e Lucia, del 1827, considerata ormai un lavoro a sé stante) fa sì che la figura di Manzoni sia familiare persino ai giovanissimi: impossibile trovare chi, fra i banchi di scuola, non abbia sfogliato le pagine manzoniane dedicate all'amore travagliato di Renzo e Lucia, ma anche al contesto storico e sociale del tempo. Proprio questo aspetto rende il romanzo così tanto importante anche sotto il profilo storico e sociale. Manzoni voleva scrivere le sue opere in una lingua comprensibile a tutti, ma agli inizi del XIX secolo, la lingua degli scrittori e la lingua della gente comune erano molto lontane: gli scrittori scrivevano nell’italiano letterario, la gente comune parlava in dialetto, e in Italia anche all’epoca esistevano centinaia di dialetti. Nel 1823 Manzoni ha scritto una prima volta il suo romanzo più celebre, ma lo ha scritto nel fiorentino antico di Dante, Petrarca e Boccaccio: una lingua bella, ma morta, che nessuno usava per parlare. Manzoni aveva a disposizione anche una lingua viva: il suo dialetto milanese, ma fuori di Milano e della Lombardia nessuno capiva il milanese. Ecco allora la sua idea: riscrivere il suo romanzo in fiorentino sì, ma nel fiorentino parlato ai suoi tempi, dunque in una lingua viva, non morta. Per fare questo, Manzoni è andato a Firenze, ha studiato il fiorentino parlato e ha riscritto il suo romanzo nella lingua parlata a Firenze dalle persone colte, una lingua molto simile all’italiano di oggi. Tra le altre opere di Alessandro Manzoni ricordiamo gli Inni sacri (1815), Il Conte di Carmagnola (1820), l'Adelchi (1822) e Storia della colonna infame (1840).