Alfonso Berardinelli: il pubblico della poesia

Alfonso Berardinelli: il pubblico della poesia

Intervista al critico letterario, saggista e poeta

Alfonso Berardinelli: il pubblico della poesia
Alfonso Berardinelli, saggista, critico letterario e poeta, è autore di diversi studi, tra cui ricordiamo La poesia verso la prosa (Bollati Boringhieri, 1994), L’eroe che pensa (Einaudi, 2000), Stili dell’estremismo (Editori Riuniti, 2001), La forma del saggio (Marsilio, 2002), A B C del mondo contemporaneo: Autonomia, Benessere, Catastrofe (Minimum Fax, 2004). Presso l’editore Castelvecchi è uscita la nuova edizione de Il pubblico della poesia, libro che Berardinelli ha curato insieme con Franco Cordelli. A quasi trent’anni di distanza – la prima edizione è apparsa per i tipi di Lerici nel 1975 -, viene proposta un’edizione aggiornata del loro lavoro, che si presenta arricchito di nuove introduzioni e con alcune significative varianti.

Intervista di Valeria Merola

L’uscita in concomitanza della nuova edizione de Il pubblico della poesia e dell’antologia La poesia italiana oggi di Giorgio Manacorda, presso la stessa casa editrice e nella stessa collana, desta non poche curiosità. I due lavori rientrano in un disegno complessivo, in un intento di comunicazione? O manifestano piuttosto il desiderio di esprimere un giudizio sui trent’anni di cultura letteraria che ci separano dalla prima edizione dell’antologia?
La pubblicazione in contemporanea delle due antologie risponde ad una strategia culturale ed editoriale di Manacorda, che in questo modo ha voluto riprendere il discorso sulle nuove generazioni, osservandole dai due capi temporali del 1975, anno di uscita del Pubblico della poesia (Lerici), e del 2004, segnato da La poesia italiana oggi. La concomitanza delle due antologie significa che quello che è avvenuto nella poesia in questi anni, che la costituzione di un “piccolo canone” per questo trentennio deve essere sottoposto ad una revisione.

Il pubblico della poesia torna in libreria in un’edizione aggiornata accanto a La poesia italiana oggi, perché i trent’anni che ci lasciamo alle spalle devono essere riveduti criticamente, senza dare per scontati valori editoriali prestabiliti.

Negli ultimi anni in Italia è stata l’editoria a stabilire criteri di selezione per la poesia, quasi completamente sostituendosi alla critica. Le case editrici si sono trovate a surrogare i filtri intellettuali. Questo ha significato un sostanziale declino della critica, che si è rivelata uno strumento promozionale, spesso perdendo la sua funzione selettiva e valutativa. Osservando il panorama editoriale contemporaneo, ci troviamo di fronte alla situazione paradossale di poeti ottimi pubblicati da case editrici minori, o addirittura invisibili, e autori di scarso interesse che escono in case editrici molto accreditate, con una precedente tradizione, come Einaudi, Mondadori o Garzanti. Ne deriva una situazione di profondo sconcerto, che coincide con l’eclisse della critica di poesia.

Quali sono le sue “correzioni” rispetto a quelle proposte da Manacorda? Condivide il ridimensionamento di autori come Giudici e Zanzotto a vantaggio delle generazioni più giovani? 
Sono abbastanza d’accordo con Manacorda nella valutazione dei poeti più giovani, per intenderci quelli che iniziano a pubblicare a partire dagli anni Settanta. Diverso è invece il mio parere rispetto a Giudici, che è il maggior poeta italiano dopo la generazione di Caproni e Bertolucci. Potrei eventualmente capire la polemica rispetto a Zanzotto, considerato al centro della generazione da ormai quarant’anni, da quando Contini lo ha imposto come dogma, definendolo il più importante poeta italiano dopo Montale. Casi a parte sono invece Giudici, che si è affermato più lentamente, e Pasolini, che non può essere considerato solo un poeta, ma la cui valutazione letteraria deve passare per la straordinaria molteplicità di generi da lui praticati. Rispetto ai giovani credo che si debba sottolineare la grande novità apportata dal loro contributo.

Particolarmente interessante è il caso di tre poeti donne – non vogliono essere chiamate poetesse! - : penso a Bianca Tarozzi, con la sua poesia narrativa che molto si avvicina ai moduli della teatralità, ma anche a Patrizia Cavalli e a Patrizia Valduga. Si tratta di poeti che non hanno niente in comune e che però, estrinsecamente parlando, con un occhio ai soli aspetti stilistici, presentano una analoga originalità.

Cavalli, Tarozzi e Valduga hanno una comune capacità di arrivare al lettore con i loro testi. Le loro poesie usano con grande e diversa maestria il verso, di cui innanzitutto recuperano le sonorità. I versi di questi poeti nascono da una nostalgia quasi manieristica, restaurativa. Si prenda ad esempio la Valduga, che si serve di forme tradizionali, usate nella loro perfezione scolastica, per esprimere contenuti tutt’altro che tradizionali. La Tarozzi sceglie invece versi apparentemente liberi, ma in realtà rimati. L’accostamento di endecasillabi e settenari riproduce un ritmo analogo al flusso del parlato, che rende la versificazione quasi impercettibile. I versi della Cavalli sono endecasillabi semi-involontari, adoperati con grande abilità metrica. L’aspetto più importante di questa poesia è che riesce a dire qualcosa. Dietro ai versi di Cavalli, Tarozzi e Valduga c’è sempre una forte valenza teatrale, al punto che le poesie diventano quasi delle pièces autobiografiche, delle storie, con dei personaggi ben delineati. È una poesia che ha introdotto la scoperta di sé e che ha stabilito un progressivo e naturale ritorno alla rima.

Quali sono le prospettive della poesia nel nuovo Millennio? Che futuro ha la poesia? Ci può indicare i nomi e le linee di tendenza su cui scommettere? 
Tra i nuovi poeti sicuramente Alida Airaghi, Alba Donati, Paolo Febbraro, Riccardo Held e Marina Mariani. Non credo comunque che la poesia non abbia più niente da dire, ed è difficile pronosticare il futuro di questo genere letterario. Da un lato è intervenuto qualcosa di difficilmente reversibile. Dopo la generazione di Pasolini e Zanzotto non esiste più la figura dello scrittore intellettuale che intervenga criticamente. Si è persa quella critica in grado di porsi come forza d’urto e quindi come elemento trainante. La critica oggi è sempre meno militante, preferendo piuttosto assestarsi su posizioni di convenienza, sul quieto vivere.

Quali sono allora le funzioni della critica?
Personalmente preferisco tracciare panorami, più che soffermarmi su critiche singole. Il problema è ovviamente anche quello del pubblico, e in questo senso il titolo dell’antologia curata da Franco Cordelli e da me, Il pubblico della poesia, si è rivelato quasi profetico. La poesia in Italia è letta solo dai poeti o dagli aspiranti tali. Si tratta quindi di un pubblico viziato all’origine, perché autoreferenziale, un pubblico in cui prevalgono gli interessi personali. Se un’arte perde il pubblico la qualità decade, perché non c’è reazione. Il critico dovrebbe farsi carico del giudizio, ma è un meccanismo artificioso.

È come se i poeti scrivessero solo per i critici, ma se non esiste un pubblico, la critica diventa un’attività superflua: un tribunale spaventoso e arbitrario, un legislatore assoluto, unico giudice del valore dei testi.

La poesia dovrebbe invece avere un pubblico competente, come quello della narrativa. Ma nemmeno i critici si confrontano con la poesia, anzi, nemmeno si accorgono della sua esistenza, senza percepire questo disinteresse come lacuna. Una speranza viene dalle poetesse, che sono le uniche a rivolgersi ad un pubblico ben caratterizzato.

Il successo commerciale dei libri di poesia venduti in abbinamento ai quotidiani può far sperare in un’inversione di tendenza? 
In tutti i campi vige il sistema del grande evento, del bestseller. Si tratta però di un fenomeno temporaneo e limitato ad un ristrettissimo numero di autori, spesso estranei al nostro contesto culturale. In poesia è comunque difficile giudicare gli autori stranieri, che spesso si avvalgono di un’aura di sacralità dovuta solo al fatto di essere tradotti. Sono poi poeti come Neruda o Prévert, cioè poeti di facile lettura e di immediata presa sul pubblico, a ottenere il massimo dei consensi. Ma qual è la qualità di questa lettura della poesia? Sono piuttosto scettico sull’interessamento del grande pubblico alla poesia, soprattutto quando vedo che persino i critici non riescono a proporre valutazioni attendibili.