Storia del libro da Gutenberg in poi

Storia del libro da Gutenberg in poi

Intervista a Fabio Massimo Bertolo

Storia del libro da Gutenberg in poi
Intervista di Maria Agostinelli a Fabio Massimo Bertolo, esperto di libri e tecniche di stampa, che ci presenta una storia dell'oggetto libro da Gutenberg in poi.

Fabio Massimo Bertolo è laureato in Filologia italiana all’Università di Roma La Sapienza; dopo aver conseguito il dottorato di ricerca in Italianistica, si è specializzato in Storia del libro a stampa con studi anche all’estero. Insegna Storia del libro a stampa presso l’Università di Cassino, occupandosi in particolare di filologia e tradizione dei testi a stampa e pubblicando numerosi saggi in merito, da una serie di studi intorno all’editio princeps del Cortegiano di B. Castiglione fino ai più recenti lavori sull’editoria del Novecento. Per i tipi della Salerno Editrice di Roma è uscito il volume: Aretino e la stampa. Strategie di autopromozione a Venezia nel Cinquecento. Si occupa della sezione manoscritti e libri antichi presso la casa d'aste Christie's di Roma.

Partiamo dalla domanda basilare: che cos’è il libro a stampa e quand’è che, storicamente, si può cominciare a parlare di “libro”?
Di “libro a stampa” in senso specifico è possibile parlare, almeno per il mondo occidentale, solo a partire dalla seconda metà del XV sec., ovvero dall’introduzione dell’alfabeto a caratteri mobili dal parte di Johann Genfleisch zum Gutenberg, meglio noto semplicemente come Gutenberg. Fu lui a rivoluzionare il sistema di produzione del libro scomponendo la forma grafica della scrittura manuale in una sequela di singoli blocchetti metallici componibili all’infinito, tali da produrre potenzialmente infinite serie logiche di parole, frasi, periodi e pagine. Un processo combinatorio già noto alla scrittura degli amanuensi, ma profondamente innovato nella misura in cui veniva percepita la straordinaria possibilità di sequenze inesauribili che la scrittura artificiale (così venne chiamata la stampa dai contemporanei, ars artificialiter scribendi di contro alla tradizione ars naturaliter scribendi) poteva facilmente realizzare.

A ben riflettere, gli storici del libro hanno ormai riconosciuto proprio nell’invenzione dell’alfabeto a caratteri mobili il vero momento rivoluzionario nell’introduzione della stampa: il codice manoscritto sostanzialmente non si differenzia affatto nella struttura come nelle funzioni dal libro stampato, e la sua stessa produzione nel corso del Quattrocento si caratterizza per un elevato processo di parcellizzazione del lavoro funzionale ad una produzione massiccia, qualitativamente elevata e fortemente organizzata.

È l’idea di poter comporre e scomporre una pagina fatta di singole unità metalliche (i singoli caratteri) a rivoluzionare il sistema di produzione del libro: da ogni combinazione pazientemente realizzata, utilizzata come matrice, diventa possibile imprimere migliaia di pagine tutte uguali, per poi procedere a nuove composizioni e nuove impressioni. Simultaneamente, per il lavoro certosino di un compositore che trasferisce a piombo il testo manoscritto dinanzi a sé, si possono arrivare a produrre centinaia e quindi migliaia si singoli libri, composti da singoli fascicoli che raccolgono singole pagine, frutto dell’insieme di singoli caratteri combinati “magicamente” tra loro: dall’unità all’insieme, forse per la prima volta nella storia dell’umanità si può osservare la nascita di un prodotto seriale, risultato di una combinazione di elementi interagenti tra loro.

Non a caso Gutenberg proveniva dal mondo dell’oreficeria, come la gran parte dei suoi colleghi proto-tipografi, perché solo quell’esperienza professionale poteva offrire le competenze specifiche volte a risolvere i problemi tecnici connessi con la fusione dei caratteri (necessariamente solidi, rigidi ma al tempo stesso flessibili, per evitare che con la pressione finissero per spaccarsi).

Il torchio, la carta, l’inchiostro erano tutte componenti “accessorie” per certi versi già note e praticate in ambiti differenti, non sempre inerenti alla produzione del libro; si trattava solo di migliorarli tecnologicamente per adattarli alla nuova funzione, ma nella loro struttura e per la loro funzione già garantivano ottimi risultati. Gutenberg e i suoi amici seppero coniugare assieme le necessarie conoscenze tecniche con una geniale dose di inventiva, ma il loro risultato non voleva che essere la realizzazione di un pratico strumento per produrre libri: lungi da loro la benché minima percezione della portata rivoluzionaria, in senso culturale, storico e sociologico, della loro invenzione (che Bacone cita, non a caso, assieme alla polvere da sparo e alla bussola come fondativa dell’età moderna).

Dall’invenzione della stampa a caratteri mobili verso la metà del 1400, il libro è gradualmente diventato un oggetto di uso comune. Quali sono stati i principali soggetti e le principali tappe di questo fenomeno?
Il libro a stampa ha alle spalle un nobile antenato con cui convivrà tranquillamente per secoli, ovvero il libro manoscritto. Parlare di “oggetto di uso comune” può non essere proprio se rapportato alla nostra moderna percezione. Il libro per secoli, sia esso manoscritto o stampato, ha rappresentato uno straordinario “status symbol” (per usare una chiara etichetta contemporanea), posseduto da pochi in ragione della sua preziosità, del suo valore e della sua indiscussa “aura” decisamente simbolica (che non a caso proprio ora, in età post-gutenberghiana e digitale sta riaffiorando con prepotenza, quasi a rivendicare quella perdita di aureola genialmente descritta da Benjamin a fine Ottocento).

Tutta la civiltà occidentale, ma ovviamente anche il mondo musulmano, si fonda sul Libro sacro per eccellenza, e questa idea di sacralità accompagna la storia dell’oggetto-libro nei secoli.

Con la stampa si assiste ad un processo di espansione e diffusione del valore simbolico del libro, in direzione di categorie che prima di allora non potevano permettersene l’acquisto e che invece ora si sentono parte di una grande sistema non solo culturale, ma principalmente sociale. Con questo non voglio sopravvalutare il peso della stampa nel processo di alfabetizzazione, che almeno per alcuni secoli fu davvero relativo (leggevano le categorie sociali già abituate a farlo, mentre i nuovi alfabetizzati ancora vivevano ai margini del grande circuito di produzione del libro stampato), ma semmai sottolineare come la percezione del libro come “oggetto di uso comune” è una conquista relativamente moderna, direi ottocentesca, collegata all’avvento di una classe sociale quale la borghesia che fa del libro il proprio strumento di rivendicazione sociale. In Italia tutto ciò è ancor più evidente e, per certi versi, lento e graduale: accompagna il moto di unità nazionale, aristocraticamente imposto da una ristretta élite di intellettuali che solo ad unità compiuta si preoccuperà “fatta l’Italia” di fare gli italiani sulle pagine di libri di lettura comune. I grandi romanzi e i testi scolastici rappresentano i primi esempi di oggetti-libri di uso comune, almeno nell’accezione moderna che diamo a tale espressione.

Si può, quindi, mettere in relazione la stampa con la graduale alfabetizzazione della società? E' possibile accostare al libro a stampa una sorta di "rivoluzione sociale"?
Come segnalavo sopra, parlare di “rivoluzione sociale” per quanto concerne l’effetto del libro sulle masse è forse espressione un po’ forte, sicuramente da valutare caso per caso, in diverse epoche e contesti. È certo che la Riforma - senza l’opportunità data a Lutero dalla stampa di diffondere rapidamente e simultaneamente le sue idea in tutta l’Europa centro-settentrionale - sarebbe stata poca cosa, forse uno dei tanti movimenti ereticali rapidamente accantonati. Così la rivoluzione scientifica copernicana e galileiana non avrebbe certo portato i risultati che tutti conosciamo senza la risonanza offerta dal nuovo medium.

Ma i livelli di istruzione medi, i processi di alfabetizzazione e il crescere della domanda di conoscenza non possono considerarsi frutti diretti della rivoluzione tipografica.

La crescita di produzione da un punto di vista quantitativo, effetto indubbio della stampa, determinò un notevole incremento nel numero di lettori, ma le categoria sociali interessate a tale sviluppo restarono quasi sempre le medesime. Solo la nascita, lenta e graduale, di nuovi generi letterari prodotti dalla stampa influì direttamente sull’espansione delle categorie di lettori potenziali e reali, finendo per creare nuovo bacini di utenza che domandavano libri diversi, abbordabili per le loro tasche, alla loro portata. La vera democratizzazione dell’oggetto-libro si ha solo dopo la rivoluzione industriale in Inghilterra, qualche decennio dopo in Francia e verso la metà dell’Ottocento finalmente in Italia, ad opera in questo caso di grosse case editrici (perlopiù milanesi, torinesi e fiorentine) consapevoli del vantaggio economico che sarebbe loro derivato dalla produzione “di massa” del libro stampato con procedimenti meccanici. La rivoluzione sociale prodotta dal libro si traduce in un moto di affrancazione culturale e sociale, da modelli propri dell’anciént regime non più avvertiti come rispondenti ai bisogni del ceto emergente, la borghesia.

Hai accennato alla nascita di nuovi generi letterari. Con la diffusione della stampa sono cambiati anche i contenuti dei testi pubblicati, si sono diversificati i generi e gli autori. Come è avvenuto questo cambiamento? Secondo te è possibile mettere in relazione la stampa con lo sviluppo del romanzo?
Il rapporto tra generi letterari e libro a stampa è alquanto complesso e articolato. Al momento della sua introduzione, in Italia imperava un movimento culturale definito Umanesimo che segnò la produzione del libro a stampa per almeno un trentennio. Gli umanisti imposero un modello di libro legato alla tradizione classica, esemplato sui codici da loro stessi prodotti e spesso sontuosamente decorati, che veicolava quasi esclusivamente classici latini e greci. A fianco di questa produzione, la chiesa, detentrice di un potere culturale indiscusso, imponeva la sua produzione di testi canonici, liturgici e non solo, mentre l’università rispondeva alle richieste dei suoi studenti incrementando a stampa la produzione di testi giuridici, filosofici, scientifici etc. Le prime vere novità in termini di produzione a stampa affrancata dai modelli manoscritti, sono forse rappresentate dalle stampe popolari di carattere religioso e laico prodotte prevalentemente a Firenze sul finire del Quattrocento: si trattava di una produzione estemporanea di testi di poche carte, venduti nelle piazze a ridosso di grandi feste pubbliche e avvenimenti collettivi, per celebrare l’evento, conservarne memoria o anche solo per offrire diletto ad una classe di neo-alfabetizzati che potevano ritrovare nelle ottave poetiche di questi testi (spesso epici) le parole dei cantastorie e saltimbanchi appena ascoltati.

È l’avvento della letteratura volgare nei primi decenni del Cinquecento a sconvolgere il panorama della produzione canonica libraria, imponendo modelli e tipologie di testi nuovi in connessione con generi sorti dal nulla.

Si pensi all’epistolografia in volgare, ovvero le raccolte di lettere di personaggi illustri (genere fondato da Pietro Aretino), le serie dei pronostici per divinare il futuro, i cantari poetici di matrice epica, le raccolte di rime organizzate in forma di canzonieri (sul modello forte petrarchesco) ma anche in semplice struttura antologica, i resoconti di viaggi a volte illustrati, diretta testimonianza dell’età delle scoperte geografiche etc. Lo sviluppo del romanzo moderno, databile al Seicento in buona parte d’Europa, non ha una diretta connessione con la stampa, se non nella misura in cui la forma lunga di narrazione, già conosciuta per altri generi letterari, può apparire perfettamente congeniale con la struttura estensibile del libro stampato (costituito da un numero pressoché infinito di fascicoli legati tra loro).

Qual è stata l'importanza di Aldo Manuzio nella storia della stampa?
Aldo Manuzio rappresenta l’apice dell’arte tipografica rinascimentale, raccogliendo in sé le doti del grande umanista, dell’abile editore, dell’attento grafico e dello straordinario promotore culturale. Parlare di Manuzio e della sua breve attività di tipografo (1494-1515, 21 anni appena per complessive 132 edizioni) significa in fondo accorgersi di quanta poca strada sia stata percorsa nella storia della tipografia dalla fine del Quattrocento ad oggi. Le sue innovazioni hanno segnato la storia del libro a stampa per secoli e ancora oggi rappresentano insuperati modelli di riferimento. Per citarne solo alcune: l’introduzione del carattere corsivo nel 1501, l’adozione del carattere tondo Bembo (dall’opera di Pietro Bembo, De Aetna, 1495), la nascita della prima collana editoriale di classici tascabili (i cosiddetti enchiridion), l’estrema cura filologica nell’edizione dei testi (affidati ai migliori specialisti dell’epoca), l’attenta distribuzione e promozione delle sue edizioni, con avvisi a stampa estinta ai lettori in cui annunciava novità, riprese, etc. Una sorta di mito della tipografia che si avvalse della collaborazione tecnica dello straordinario Andrea Torresani, suo socio in affari, e dei capitali del nobile Pienfrancesco Barbarigo, che defilato finanziò varie sue imprese editoriali. Questo fu Manuzio: un discreto umanista, buon insegnante, che si trasformò in abile imprenditore per realizzare un sogno nel cassetto, ovvero rendere accessibili a tutti - attraverso la stampa – i testi della classicità, soprattutto greca oltre che latina, con un occhio di riguardo anche alle opere in volgare che l’amico Bembo aveva ormai introdotto nel canone dei classici.

Già dai primi tempi della diffusione della stampa in Italia si cominciò a parlare di “privilegio” dello stampatore nei confronti dei contenuti del testo stampato: quand’è che ci si può veramente riferire al “diritto d’autore” e al “diritto dell’editore”? E quand’è che è possibile iniziare a parlare di un’industria dell’editoria?
Il diritto dell’editore ha storicamente, per lungo tempo, costituito l’unico diritto da tutelare nell’attività tipografica. La prima legislazione davvero moderna che si conosca in tale materia venne introdotta a Venezia nel primo ventennio del Cinquecento e mirava a tutelare esclusivamente i diritti dell’editore dal rischio di edizioni contraffatte e/o non autorizzate, in una logica tutta commerciale che vedeva proprio nell’editore l’anello debole della catena, da tutelare in quanto finanziatore diretto dell’impresa tipografica. Chi metteva i soldi, in sostanza, non poteva correre il rischio di veder frustrati i propri sforzi ad opera di un abusivo stampatore che, sfruttando la riproducibilità insita nel medium, decidesse di inondare il mercato con edizioni-copia. Chi lo faceva, e veniva identificato dal Senato veneto o da altre analoghe istituzioni di controllo nei diversi stati italiani, subiva una forte multa pecuniaria, il blocco temporaneo dell’attività sino all’interdizione definitiva dalla pratica di tipografo. Il diritto d’autore nasce relativamente tardi, direi in pieno Ottocento, quando l’idea stessa d’autore - per effetto del Romanticismo - subisce un radicale ripensamento e un’ontologica ridefinizione

La tutela della proprietà del pensiero, dei suoi diritti di utilizzo commerciale, divengono il riconoscimento legale di un ruolo autonomo dello scrittore nella società, faber suae quisque fortunae, da tutelare per consentirgli al meglio di svolgere, in assoluta libertà da vincoli, il suo ruolo di descrittore e coscienza del reale.

L’industria dell’editoria, almeno per l’Italia, nasce solo nella seconda metà del XIX sec., con l’introduzione, dapprima in Piemonte (a Torino con l’editore Pomba) e quindi in Lombardia (Sonzogno, Treves etc.), delle prime macchine tipografiche a vapore in grado di realizzare tirature inimmaginabili con procedimenti tradizionali.

Il papiro, la pergamena e altri tipi di materiali non hanno retto il confronto con il supporto cartaceo. Ci puoi parlare dell’importanza della carta nella diffusione del libro?
L’introduzione della carta in Europa sul finire del XII sec. rappresenta una di quelle svolte epocali nella produzione del libro, il cui impatto ancora non è stato analiticamente sondato. Il codice manoscritto verrà ripensato e ri-funzionalizzato in relazione al nuovo supporto cartaceo, più fragile ma anche più duttile e maneggevole, oltre che enormemente meno costoso e più diffuso. La stampa senza la carta non avrebbe avuto ragione di esistere, vista la natura propria del procedimento tipografico strutturato sui grandi numeri e alte tirature, che necessiteranno ovviamente di quantitativi ingenti di carta. Lo sviluppo di cartiere tra XV e XVI sec. è una realtà straordinaria che testimonia come, attorno alla stampa, l’indotto fosse decisamente motivato e in forte espansione.

Il testo scritto è passato, appunto, attraverso una congerie di materiali e di forme differenti: dalle tavolette di legno e cera, al papiro, al rotolo di pergamena, alla seta, al codice, fino ad arrivare al libro di carta e poi al testo elettronico. Qual è la formula magica del libro? Perché è risultato vincente?
Non ci sono molti segreti da svelare, il libro è riuscito sempre a presentarsi nella sua essenziale nudità per quello che è (almeno fino al Novecento, secolo di grandi sperimentazioni che spesso hanno stravolto, volutamente è ovvio, la fisionomia tradizionale del libro finendo però in un certo modo ancor più per canonizzarla): un oggetto pratico e maneggevole, relativamente economico e facile da produrre, perfettamente adattato alle nostre pratiche di lettura (o forse è vero il contrario?) che antropologicamente abbiamo sviluppato nel corso dei secoli, facilmente adeguato ad ogni evoluzione del messaggio in esso contenuto, quasi come una veste in grado di rinnovarsi con il mutare degli indossatori.

Tralasciando i supporti più antichi e non direttamente comparabili con il libro inteso come codex o volumen (dal latino ‘volvo’, che rimanda all’atto di volgere il papiro e quindi, per estensione, le pagine del codice), la forma dell’oggetto-libro non si è mai modificata dal IV sec. dopo Cristo sino ai giorni nostri, stampa o meno che fosse.

Nella continuità funzionale e strutturale è senz’altro uno dei segreti del suo risultato vincente…forse messo in discussione solo ora dal libro digitale che – nella sua forma più matura, fatta di testo e forma esteriore – potrebbe in un futuro prossimo venturo soppiantare il libro tradizionale per molte tipologie di fruizione (e dunque categoria di testi).