Lolita: storia di un amore senza tempo

Lolita: storia di un amore senza tempo

Intervista a Stefano Bartezzaghi sul capolavoro di Nabokov

Lolita: storia di un amore senza tempo
Stefano Bartezzaghi, collaboratore del quotidiano La Repubblica ed esperto di giochi di parole, ci racconta Lolita di Vladimir Nabokov: un romanzo costruito con la precisione di una formula matematica.

Lolita. Si potrebbe dire: un nome, una storia.
Lolita è la storia di un amore, tra un attempato professore di origine europea e una ragazzina americana. Questa è la ragione del successo e dello scandalo suscitato inizialmente dal romanzo ed è anche all’origine della diffusione del nome proprio “Lolita” in tutti i dizionari e in tutte le lingue del mondo.

È una storia abbastanza scabrosa, per i sentimenti che racconta e anche per la vicenda, giacché per avvicinarsi a questo amore scabroso, il professore compie dei gesti ai limiti della legalità e ben oltre i limiti della morale degli anni Cinquanta.

Scabrosa anche perché, in realtà, quello che accade, alla fin fine, è che la ragazzina, ben più disinvolta di quanto si potesse sospettare, seduce il professore. Nasce così questa storia d’amore, scandita dalle tappe di una fuga che attraversa i motel di mezza America. Una fuga durante la quale i due protagonisti sono inseguiti da un fantasma, che può sembrare, in un primo momento, il fantasma del senso di colpa, ma che in realtà si rivelerà essere un fantasma concreto, un personaggio che, prima o poi, si prenderà Lolita. A quel punto la fuga s’inverte: il professore, Humbert Humbert non è più l’inseguito, ma diventa l’inseguitore, perché cerca le tracce di questo grande amore perduto.

Da dove viene l’ossessione di Humbert per Lolita? O meglio, che tipo di amore è quello di Humbert per Lolita: è un amore ossessivo? 
L’amore che Humbert ha per Lolita è sicuramente un amore ossessivo, totalizzante e anche devastante, per l’animo del professore, perché lui per tutta la vita ha cercato di ripetere, ritrovare un amore che aveva interrotto sul nascere quand’era ragazzino: l’amore per una ragazza, che poi avrebbe avuto una fine precoce. In Lolita, quasi miracolosamente, quando non ci sperava più, ritrova gli occhi, la faccia, il corpo di quella ragazzina che aveva sempre sognato. Questo è l’aspetto più evidente del romanzo. Tutte le metafore e il linguaggio così immaginoso e fantastico di Nabokov sono al servizio di quella che è una delle grandi storie d’amore del Novecento letterario.

Cosa c’entra la pedofilia, perché ha fatto scandalo questo libro?
Lo scandalo di Lolita in realtà precede l’uscita del libro stesso. Nabokov non riusciva a pubblicarlo. Era già un romanziere affermato, anche se non aveva mai ottenuto le tirature che avrebbe fatto con Lolita, ma fu costretto a pubblicare il libro con una casa editrice abbastanza equivoca, che giocava appunto sulla possibile lettura morbosa del romanzo.

Chiaramente l’amore per una bambina, una ragazzina ben sotto la maggiore età, dà un’etichetta di pedofilia difficilmente estinguibile. Si tratta di un’accusa che è stata mossa a Nabokov direttamente e che lui rigettava con sdegno, proprio sottolineando il fatto che per il professore l’amore per questa ragazzina era la ripetizione di un amore risalente a quando lui stesso era ragazzino.

E di fatto, all’interno del rapporto è come se fossero coetanei. Per il lettore che non sia a caccia di sdegno è evidente che il problema dell’amore è molto più forte della differenza d’età che divide i protagonisti.

Quindi l’autore fornisce un alibi al protagonista per questo amore: il fatto che sia il ricordo di un amore?
Nabokov era uno scrittore serio, non era a caccia del successo dato dallo scandalo, e ha munito il libro delle sue difese e dei suoi anticorpi. È impossibile, in realtà, leggere Lolita come un romanzo pornografico o come l’elogio della pedofilia. Lui diceva che in realtà l’amore del professore europeo per la ragazzina americana era l’amore dell’Europa per il Nuovo Mondo. E sottolineava anche l’amore che lui, scrittore di madrelingua russa, portava per la lingua inglese, che aveva imparato da piccolo.

In quale periodo della vita di Nabokov fu scritto questo romanzo? Era un periodo particolare? Ci sono dei riferimenti biografici, penso per esempio al fatto che lui amava le farfalle, questo fermare la bellezza nel tempo? 
Nabokov era espatriato dalla Russia e, come molti, ha avuto un processo di avvicinamento agli Stati Uniti che lo ha portato, con varie tappe intermedie, a Berlino e Parigi, prima di fare il grande salto. Si era rammaricato di non averlo fatto subito, perché negli Stati Uniti ha veramente trovato la sua seconda patria, quella che gli mancava. Si racconta che c’è un primo testo che assomiglia molto a quella che sarebbe poi stata la vicenda di Lolita, un testo steso molti anni prima.

Recentemente sono stati trovati anche scritti altrui, che probabilmente hanno ispirato Nabokov. Uno di questi porta proprio il nome di “Lolita”. Attraverso l’incontro definitivo con la lingua inglese, che era diventata anche la sua lingua professionale, giacché insegnava all’università, la storia di questo rapporto tra il professore e la ragazzina diventa all’improvviso possibile.

Perché, nell’incontro con gli Stati Uniti, Nabokov ha trovato un panorama, un modo di vivere, delle relazioni sociali che completavano quella che era la sua idea originale. Nella sua carriera di scrittore, Lolita ha chiaramente avuto un’importanza enorme, perché da lì in poi è diventato uno scrittore ricco, ha potuto smettere di fare altri lavori e ha potuto pensare alla sua scrittura e a proporre i suoi testi con alle spalle la sicurezza data dal mercato.

Andando più in profondità, non ti sembra che dietro al desiderio di Humbert ci sia la volontà di fermare i momenti belli della propria giovinezza? È come se ci fosse una spinta narcisistica forte da parte di Humbert: è come dire che Lolita rappresenta il tempo che vuole fermare, per questo la chiama in diversi modi: perché sono tutti attimi diversi che vuole preservare. 
In molti altri romanzi di Nabokov il tempo è un problema enorme. Lui credeva al tempo non soltanto come progressione – il tempo “che si vede”, insomma – ma anche alla possibilità della tessitura del tempo, ovvero a un tempo eternamente compresente. Il problema del tempo all’interno di Lolita, sia il tempo della narrazione che quello pensato e vissuto dai protagonisti, è un problema enorme e, chiaramente, l’amore per la ragazza giovane ha innanzitutto questa connotazione. Anche perché, Nabokov, grande lettore di Proust, trova nella relazione tra il primo amore infantile, adolescenziale di Humbert Humbert e l’amore per Lolita qualcosa che si ripete. Humbert dice che è la stessa cosa. Ha proprio ritrovato l’amore di gioventù e questo è il momento magico che è capace di fermare il tempo.

Tutta la vicenda disperata di Humbert Humbert sta nel riuscire a ricreare questa impressione sublime di tempo che si ferma.

La sua sconfitta avviene non tanto con la carcerazione – che, in gran parte, è volontaria – quanto nel ritrovare Lolita invecchiata, incinta di un marito e nell’accorgersi che l’ama anche così. Non è più legato a quello che lui chiama “il mito della ninfetta”, la giovane ragazzina attraente e seducente, ma ama proprio Lolita: la persona che come tutti sta invecchiando.

Quindi se all’inizio c’è una spinta a fermare il tempo, partendo dalla memoria evocata dalla presenza di Lolita, con il progredire della vicenda, in realtà, nasce un amore vero? 
C’è un aspetto di seduzione iniziale da parte del professore, che chiaramente non pensa di poter arrivare a possedere l’oggetto del suo desiderio, ma poi questa seduzione si trasforma in vero e proprio sentimento amoroso e, come tale, non è rivolto a una categoria, “la ragazzina”, ma a quella persona lì. E le ultime pagine del memoriale, che il romanzo finge di trascrivere, sono assolutamente struggenti proprio da questo punto di vista. Non è più il supposto pedofilo che ha trovato l’oggetto su cui sfogare le sue brame immorali, ma è un innamorato che è disperato per aver perso l’oggetto del suo desiderio e per non poter invecchiare insieme a lei.

Chi è invece Lolita? Come cambia la sua personalità? Lei diventa una donna che sceglie, nel momento in cui decide di andare con l’uomo che li insegue durante il viaggio? È come se, lasciando Humbert Humbert, all’improvviso si buttasse in un’avventura in cui è lei a dare la caccia? 
Lolita è, in gran parte del romanzo, un mistero. È come la lepre che fugge dietro al branco che la insegue. Noi lettori non riusciamo mai a catturarla davvero. È un personaggio ambiguo, enigmatico, proprio nella sua apparente sfrontatezza, le bugie che dice alla madre e poi il rapporto di sotterfugi che usa, prima per avvicinarsi ad Humbert Humbert, e poi per allontanarsene. Trame complicate di bugie che non vengono mai rivelate compiutamente al lettore. C’è uno scioglimento, quando Lolita lascia Humbert Humbert e insegue questo suo misterioso ammiratore e lì molte cose si viene a saperle, ma sembra attraverso gli occhi di Humbert Humbert e la possibilità che lui si sia ingannato.

Certamente Lolita era stata già amata, aveva già amato prima della relazione con Humbert Humbert, e definisce l’uomo che poi la rapirà, lei consenziente, come l’unico amore della sua vita. E questa sarà l’estrema ferita per il povero Humbert Humbert, che se lo sente dire quando finalmente la rincontra.

Per cui, certamente, Lolita è un concentrato di desiderio, ispirato e provato da lei stessa, e ha una grandissima capacità di nascondersi; capacità che riesce a far valere anche nei confronti del lettore del romanzo di Nabokov.

Parliamo della lingua, dei giochi di parole, degli esperimenti che Nabokov fa. Possiamo fare qualche esempio?
Per un’enigmista, quale mi picco di essere, Lolita è un romanzo interessantissimo perché, come la gran parte dei romanzi di Nabokov, ha un linguaggio che non è soltanto virtuosistico, da un punto di vista letterario, ma rivela ciò che peraltro è biograficamente vero: Nabokov era un enigmista. È stato l’autore delle prime parole crociate in russo. Si conoscono suoi anagrammi, suoi veri e propri giochi ed era anche un ammiratore di Lewis Carrol, l’autore di Alice nel paese delle meraviglie, altro grande giocoliere con le parole. In Lolita ci sono molti giochi di parole, molti scherzi verbali. Compare anche una “Vivian Darkblum”, un personaggio minore, che è l’anagramma di Nabokov, è una specie di alter ego. Soprattutto ci sono una serie di “crittografie”, anche se non è il termine enigmistico più esatto, ma sono delle scritture criptiche: quando Lolita e il suo amante scappano da Humbert Humbert, il suo amante lascia nei motel delle scritte, delle firme, dei nomi fasulli che soltanto Humbert Humbert può decifrare; sono anagrammi, doppi sensi, allusioni, che purtroppo in gran parte il lettore italiano perde nella traduzione. Una lingua non esprime soltanto quello che dice esplicitamente, ma contiene dei sottofondi, contiene i suoi segreti, così come Lolita sa tacere i suoi. Il gioco di parole esprime la giocosità della lingua: sono funambolerie verbali che producono un effetto da fuoco d’artificio. Però nel caso di Nabokov, si caricano di altre intenzioni: dietro ogni gioco di parole c’è come un piccolo enigma, una sfida al lettore ad arrivarci. Anche quando non ci si arriva, perché è impossibile – spesso sono allusioni troppo criptiche, che richiederebbero conoscenze che non tutti hanno – dà comunque questa impressione di rimbombo, di aver perso il filo di un pensiero ben pianificato, di essere entrati in un locale molto vasto di cui non si percepiscono i confini, in cui ogni parola, cadendo, produce degli echi che possono essere più o meno misteriosi. Secondo me, questo è un aspetto molto importante dell’uso che Nabokov fa del linguaggio e dei giochi che sono possibili con il linguaggio.

A proposito dei nomi di Lolita, qual è il significato di quelle continue storpiature, pare quasi che cambiando i nomi, Humbert voglia far rimanere immutata la natura di ninfetta, di adolescente della sua Lolita. 
Il nome di Lolita – lei in realtà si chiama Dolores – è centrale fin dalla prima pagina, quando il narratore, che è lo stesso Humbert Humbert, fa quasi una degustazione di questo nome:

lo scrive, lo riscrive e descrive proprio il passaggio che la lingua deve fare sul palato per pronunciare queste tre sillabe: Lo-li-ta.

Humbert Humbert, che ha un nome ripetuto, tautologico, fisso in se stesso, continua a ripeterlo: come fanno gli amanti, gli innamorati o i poeti provenzali con il nome della donna amata. Continua a ripeterlo, continua a cambiarlo e a dire che però il suo nome era Lolita, quindi a confermarlo in questa identità. Lolita, come tutti del resto, è una persona sfaccettata, e quasi a ogni sua faccia corrisponde un nome diverso, che è il nome datogli dalla madre, il nome di quando uno è di fretta e poi il nome dell’amore, che è quello che dà il titolo al romanzo.

Che legame c’è tra questo romanzo e la passione di Nabokov per le farfalle? 
Nabokov era un entomologo molto esperto, in tutti i suoi libri ci sono farfalle. Aveva progettato una ricerca sulle farfalle che poi non ha portato a termine. Ha fatto una volta una viaggio in Italia, cercando in tutti i musei rappresentazioni di farfalle nei grandi quadri della tradizione artistica italiana. Ha anche dato un nome a delle farfalle da lui scoperte, come usa tra gli entomologi, e una di queste aveva nel nome un riferimento chiaro a Lolita: mi sembra ci fosse dentro la parola ninfetta, nel nome latino inventato da Nabokov. C’è una teoria secondo cui Lolita in realtà è una farfalla: la suggestione è molto forte, perché Lolita morirà di parto, come si verrà a sapere dall’ultima pagina del romanzo. È come una larva imbozzolita che si prepara alla sua metamorfosi. E tutta la teoria delle giovani ninfette di Humbert Humbert, probabilmente condivisa da Nabokov, è una teoria che parla delle metamorfosi che, a un certo stadio, arrivano a creare una bellezza naturale che resta inspiegabile e che l’uomo può solo ammirare o può catturare.
[La foto è tratta dal film Lolita di Stanley Kubrick del 1962]

A cura di Maria Agostinelli e Florinda Fiamma