Neruda: uomo fra gli uomini

Neruda: uomo fra gli uomini

Intervista a Giuseppe Bellini

Neruda: uomo fra gli uomini
Quello che ci descrive Giuseppe Bellini, docente di Letteratura ispano-americana all’Università “Statale” di Milano e traduttore del poeta cileno, è un Pablo Neruda “uomo fra gli uomini”: cantore delle quotidiane gioie e tragedie che, attraverso la poesia, si ricongiungono alle alte sfere di un tema non più personale, ma universale. Autore peraltro di una monografia sul poeta – Viaggio al cuore di Neruda (Passigli, 2004) – Bellini ne coglie l’aspetto di continua e strenua tensione, esistenziale e poetica, tra sponde opposte: tradizione e rinnovamento, sogno e realtà, umorismo e disperazione, memoria e novità, amore e morte. Di certo Neruda è un uomo che nella ricerca di se stesso e del senso più autentico della vita non si è mai risparmiato. E sul finire del suo vagabondare terreno – in Residenze sulla terra – chiedeva soltanto un riposo “di pietre o di lana”: “simboli di quanto è elementare e puro”.

Professor Bellini, le evoluzioni dell’opera nerudiana sono – a detta dell’autore stesso – l’espressione dell’intima evoluzione dell’uomo Neruda. Crede che questo costante riferimento a se stesso e al proprio tempo tolga qualcosa alla pretesa d’immortalità dell’arte? 
L’autobiografismo di Neruda, costante nella sua opera, non toglie nulla all’immortalità dell’arte, anzi, aggiunge una nota più umana e convincente a quanto il poeta ha creato lungo l’iter della sua vita.

La natura ha fatto da sfondo costante alla poesia di Neruda e il mitico Sud del mondo, con i suoi boschi e i suoi fiumi, la presenza costante della pioggia, ha finito per costituire una sorta di paradiso, sempre rimpianto, non come luogo perduto, bensì come riferimento fortificante, restauratore di energia e di speranza.

In cosa consiste, esattamente, la rivoluzione linguistica e poetica avviata da Neruda? 
Corrisponde a un momento determinante del rinnovamento poetico che, sulla scia dei vari movimenti d’avanguardia, ha arricchito l’espressione lirica ispano-americana.

Neruda ha sempre negato che il surrealismo lo avesse in qualche modo influenzato, ma non v’è dubbio che la sua presenza è visibile soprattutto nell’automatismo di El hondero entusiasta e nelle prime Residencias en la tierra, per le quali Amado Alonso ha parlato di ermetismo.

In seguito la poesía nerudiana si dirige a un territorio comunicativo che fa perno su una pretesa di semplicità. Per Neruda il compatriota Huidobro, inventore del “creazionismo”, sarà un’innaturale espressione del verbo aristocratico. Pablo, al contrario, persegue una poesia in cui tutto è fonte poetica legittima; afferma nello scritto Sobre una poesía sin pureza che persino il cattivo gusto, le espressioni logore dall’uso, come quelle dell’amore, hanno posto nella poesia, in particolare gli oggetti che recano l’orma della mano dell’uomo. Per la poesia nerudiana occorre sempre tener presente, tuttavia, anche la lezione fondamentale dei classici spagnoli, non solo di Quevedo, nella cui opera il cileno scopre l’interprete, secoli prima, dei suoi stessi problemi, delle sue angosce, ma il Conte di Villamediana e i grandi poeti del Secolo d’Oro, in particolare Góngora, dominante nella condivisa passione per le acque e del quale è orma profonda in “El gran Océano” del Canto general, richiamo inevitabile, per contrasto originale, alle Soledades gongorine. Nei tre libri delle Odas elementales Neruda accentuerà il ricorso alla semplicità, canterà i temi più diversi, anche quelli ritenuti dai cultori della poesia “pura” più apoetici, e darà vita a creazioni di affascinante bellezza, anche cromatica, pervase sempre di pensiero, non fini a se stesse.

In Neruda vi è un costante misurarsi col dolore, con la finitudine umana, alla ricerca di una segreta speranza, di una qualche “ragione benigna” al di là del dolore. Crede che l’amore e il tema naturalistico rappresentino per Neruda questa segreta speranza? 
Come ho già detto, la natura è il rifugio costante di Neruda, ma la sua denuncia del dolore provocato dagli uomini, dalla distruzione della guerra e dalla malvagità in genere apre un panorama sofferto anche sull’uomo Neruda. Il quale non rifugge dal dolore, ne è anzi partecipe, come quando in España en el corazón denuncia i crimini del conflitto civile, piange sulle rovine della Spagna, su tante giovani vite troncate; o in Fin de mundo, allorché il suo canto si leva contro gli aerei “assassini”, che diffondono morte in Vietnam. Il lettore non riuscirà mai a cancellare dalla sua memoria sensibile l’immagine della bambola, unico resto della bimba bruciata dal napalm nelle risaie vietamite, né l’immagine della “fragrante fidanzata” di España en el corazón, distrutta nel fiore della vita dalle bombe degli aerei.

E neppure dimenticherà Neruda la sua gente, quella che muore sfruttata indegnamente nelle miniere o che defunge per i ricorrenti terremoti della sua terra.

Benché conservi sempre un’immagine ostinatamente positiva del futuro, del tempo che ricuce, gugliata a gugliata, le ferite, come si coglie in “Cataclismo” dei Cantos ceremoniales. Vi è, quindi, alla base della poesia di Neruda, un ampio senso solidale con l’uomo e l’amore verso di esso è sostanzialmente ancora piú forte di quello che lo legherà così indissolubilmente a Matilde e del quale sono vivo documento i Versos del Capitán, i Cien sonetos de amor e La Barcarola.

Si potrebbe definire la poetica di Neruda una poetica fondata sull’uomo?
La poetica di Neruda è certamente fondata sull’impegno verso l’uomo, il suo presente e il suo futuro, ma anche sull’indagine del suo passato, come avviene nelle “Alturas de Macchu Picchu”, del Canto general.

Nella poesia di Neruda vi è un costante ricorso alla metafora, sebbene l’autore si rifiuti di riconoscerne il valore simbolico: “una colomba per me è soltanto una colomba”, afferma nell’intervista concessa a Rita Guibert. Potrebbe spiegarci meglio qual è il rapporto tra il reale e il surreale per questo autore?
Non bisogna mai fidarsi troppo di quanto dicono gli scrittori di se stessi e della loro opera. Neruda aveva anche il vezzo di burlarsi non di rado degli intervistatori. La metafora, al contrario di quanto sembra affermare il poeta è presenza costante nella sua poesia, soprattutto nelle Residencias en la tierra, ma un po’ in tutta la sua opera poetica, alla quale dà un’attrattiva particolare.

Benché il rapporto di Neruda con la realtà sia costante, la metafora ha la funzione di introdurre il lettore ancora più in profondità nel reale, che tuttavia trasforma magicamente. Il poeta non dimentica mai di essere un creatore.

L’uso di metafore prese dal mondo animale è espediente comune tanto a Neruda quanto a Borges, eppure si direbbe che vi è un diverso spessore simbolico e filosofico tra i due. È forse questa diversità d’intenti (materiali per il primo e metafisici per il secondo) che giustifica Neruda nell’affermare che la letteratura di Borges è antiquata?
Neruda si avvale per le sue metafore anche di rappresentazioni del mondo animale, ma con una selezione che lo porta preferibilmente a riferisi a pesci e a uccelli. La sua passione per l’oceano dà ragione del dispiegarsi di simboli che definirei “marini”. Da appassionato ornitologo egli carica gli uccelli di significati profondi, come in Arte de pájaros. Ritengo che non scompaia mai in Neruda una metafisica, che non si esprime in rarefatte atmosfere, ma è continuamente aderente all’uomo e ai suoi fondamentali problemi, non escluso quello della permanenza.

Credo che Neruda non considerasse “antiquata” la letteratura di Borges, ma trovasse lo scrittore troppo intellettualisticamente preso nel suo gioco di captatore di attenzione, attraverso un ragionare che al cileno doveva sembrare freddo, in quanto distante dalla realtà dell’uomo di ogni giorno.

L’argentino doveva sembrargli la personificazione dello scrittore “aristocratico”, come il compatriota Huidobro. Di Borges non ho mai sentito Neruda parlare e certo non gli piacevano, in particolare, le sue provocazioni in appoggio ai militari argentini golpisti, come del resto a Borges non piaceva certo il Neruda schierato politicamente. D’altronde, erano pochi gli entusiasmi narrativi di Neruda: i testi “esperpentici”di Ramón Gómez de la Serna, che considerava un gran mago, capace di estrarre meraviglie dal suo “cucurucho”, e Cien años de soledad, di García Márquez, esempio per lui straordinario della magia della realtà.


Intervista a cura di Francesca Garofoli