Canto 16 - Memor

Purgatorio

Compendio Garibaldino di Caprera e Memoriale Giuseppe Garibaldi
Il Compendio Garibaldino comprende i luoghi dove Giuseppe Garibaldi visse gli ultimi anni della sua vita (1856-1882). Il sito custodisce la tomba dell’eroe ed è adibito a museo. Il Memoriale ha sede nel Forte sabaudo di Arbuticci, attraverso un percorso multimediale e interattivo, racconta la vita e le imprese del generale Garibaldi.

Sinossi a cura di Aldo Onorati
Nell’ordinamento morale questo canto rientra ‘nell’amore colpevole per malo obietto’ (cioè : il cattivo obiettivo, ovvero il fine, per cui l’essere umano, amando solo se stesso, trascura o disprezza il bene degli altri, politicamente, civilmente, cose a cui invece dovrebbe tendere per statuto etico). Il contrappasso: come l’ira annebbiò la loro ragione, così il fumo denso oscura l’aria rendendo impossibile vedere dove si pongano i piedi e chi ci è accanto. Essi implorano pace e perdono. La questione centrale consiste nella spiegazione delle cause della corruzione del mondo.
E’ ancora lunedì, 11 di aprile, ma sono ormai le sei pomeridiane. La cornice è quella che contiene gli iracondi (la terza). Il personaggio che Dante incontra e da cui ha un insegnamento fondamentale (i motivi della totale decadenza dei costumi e dell’uomo in genere) è Marco Lombardo, del quale si hanno scarse notizie, ma fu certamente un uomo di corte (è il protagonista del racconto XLVI del Novellino ed è citato pure dal Villani, nella Cronica, ospite di Ugolino della Gherardesca).
Il pellegrino scrive di non aver mai incontrato, sulla Terra, un fumo così fitto e pruriginoso per gli occhi, tanto che Virgilio gli offrì il braccio per continuare il cammino (l’incipit del canto, almeno fino al verso 15, è di un’efficacia descrittiva somma: pochissimi poeti hanno saputo render concreti i paragoni e le metafore come Dante). Udendo pregare, chiede al Maestro chi siano quegli spiriti oranti. E Virgilio non fa in tempo a terminare la risposta (“Sono coloro i quali vanno liberandosi dal peccato dell’ira come da un nodo che li lega alla bestialità), che un’anima chiede al vivente la sua identità, perché si è accorto che “divide ancora il tempo per mesi” (mentre i morti sono nell’eternità, cioè fuori del tempo). Si notino i continui latinismi (partissi, calende) di cui il Poeta fa largo uso qui e altrove.
Dante, spronato da Virgilio a rispondere, inizia con una captatio benevolentiae, promettendo “maraviglia” all’anima, se lo accompagna in quel breve cammino. Ed essa commenta così: “Se pur il fumo non permette che ci si veda, non impedisce l’ascolto”.
L’Alighieri dichiara di essere ancora vivo, e prega l’ascoltatore di rivelargli chi fu prima della morte e di confermargli se la strada intrapresa conduca al varco.
La risposta non si fa attendere: si tratta, appunto, di Marco Lombardo, conoscitore del mondo, delle sue virtù e dei suoi vizi. Quindi, indicata la via per procedere verso l’alto, chiede a Dante di pregare per lui. Il Poeta promette con giuramento, ma gli chiede – quasi in uno scambio di cortesie – di sciogliergli un dubbio: il mondo è dei malvagi; fin qui è chiaro; ma qual è la causa? Chiariscimela, in modo che io possa a mia volta spiegarla altrui. E’ colpa dell’influsso astrale – come affermano taluni – o del volere umano? Rispose: “Frate, / il mondo è cieco, e tu vien ben da lui”. L’argomentazione di Marco è la seguente: se dipendesse tutto dall’influenza astrale, che ne sarebbe del vostro libero arbitrio? Non avrebbero più senso né i castighi per le colpe né i premi per i meriti. “Lo cielo i vostri movimenti inizia”, riprende Lombardo, aggiungendo che all’uomo è dato di poter scegliere fra il bene e il male. La volontà libera (o libero arbitrio) lotta dapprima con le influenze astrali, ma poi vince se ben “si notrica” (sarà illuminante leggere nel Monarchia il libro I, xii, 2-4). I cieli non possono nulla sulla vostra anima intellettiva. Per cui, se il mondo, oggi, disvia, dovete trovare in voi la cagione, ed io te ne sarò adesso “vera spia” (informatore sincero).
Quanto segue, nel discorso morale di Marco Lombardo, investe un problema eterno e universale: la decadenza dell’uomo (Dante ne esamina la cause primigenie ed ultime, sicché il personaggio che parla è un mezzo che si offre al pellegrino per esporre le sue idee realistiche sulla situazione dell’umanità, e luogo più adatto non poteva darsi dell’opprimente e dolorosa cornice ove il fumo – emblema della cecità umana - avvolge spiriti e voci in un’asprezza che fa della natura del luogo un paesaggio antropocentrico). Il tema trattato è caro al Poeta e al Pensatore: i due poteri che Dio ha dato all’organizzazione sociale e storica del mondo (Impero e Chiesa) si mescolano fra loro, sicché il Papato ha in mano anche le chiavi dello Stato. Però – insiste Lombardo – le leggi esistono, ma non ci sono coloro i quali le fanno rispettare. Non certo il papa, il quale, anzi, dà cattivo esempio mirando ai beni mondani più che a quelli spirituali; per cui, spero ti sia chiaro che non gli influssi astrali ma la natura umana e il cattivo governo sono causa della malvagità che degrada l’uomo. Roma non ha più due Soli: uno creato per la salvezza eterna e uno per la rettitudine terrena, perché si sono fusi, e ciò devia dal disegno divino.
Il seguito del ragionamento di Marco si restringe in ambito geografico riguardante la Lombardia e la Marca Trevigiana. Vengono citati nomi che sono esempi di retta condotta (Currado da Palazzo, il buon Gherardo e Guido da Castel). Non è raro affatto che Dante paragoni i suoi tempi a quelli precedenti alla sua nascita, per sottolineare la differenza fra un’età vivibile e onesta, ed una degradata come quella che lo ha esiliato.
Sono giunti in un punto in cui la densità del fumo è meno compatta. Una luce inizia a filtrare attraverso i veli in dissolvenza, e Marco deve separarsi dai due pellegrini, perché non può farsi vedere dall’angelo che sta al varco, l’angelo del perdono. Si volge subitamente per rientrare nella nebbia intensa: comparirà di fronte al messo di Dio appena purgato dalla colpa espiata.