Canto 29 - Turris

Purgatorio

XXIX - TURRIS (Brescia/ San Martino della Battaglia)
Restauro della torre
Località nota per la battaglia combattuta tra italiani e austriaci il 24 giugno del 1859. In ricordo dei caduti fu eretta, tra il 1880 e il 1893, una monumentale torre di 74 mt, al cui interno si trovano affreschi che ritraggono episodi risorgimentali.

 Sinossi a cura di Aldo Onorati
La natura rigogliosa, che è stata protagonista nei due canti precedenti, diviene ora lo sfondo di una maestosa narrazione scenica simbolica e fortemente allegorica. Alle atmosfere stilnovistiche e alle misture classiche, si immette nel contesto una serie di “citazioni” scritturali.
Cantando come donna innamorata, Matelda riprese: “Beati coloro ai quali sono cancellati i peccati!”. E come le ninfe che andavano solitarie per le ombre delle selve, desiderando alcune di vedere e altre di fuggire il sole, così la donna procedé in direzione opposta al fluire del fiume, camminando lungo la riva; Dante avanzò nella direzione di lei accordando i suoi all’andatura di Matelda.
Entrambi non avevano fatto cento passi, quando il rivo svoltò a sinistra e il poeta si trovò l’oriente di fronte (simbolo della Grazia divina, assimilata al Sole). Poco dopo, la donna ordina a Dante di guardare e ascoltare, chiamandolo “fratello”.
Come accadrà in Paradiso, già si delinea una poetica basata sulla luce e sull’armonia musicale.
Improvviso appare un bagliore che sembra un fulmine. Ma questo subito scompare, mentre quello perdurava. “E una melodia dolce correva / per l’aere luminoso…” (vv. 22-23), tanto che il pellegrino biasima la disubbidienza di Eva: lei ha stravolto le indicibili delizie del primigenio disegno divino, che avrebbe goduto anche Dante se quella “femmina” fosse stata ubbidiente al Creatore. Ed ecco, dinanzi a loro, sotto il verde delle chiome, l’aria divenire ardente e un dolce suono di canto corale farsi sentire.
Per rendere l’attesa della descrizione più marcata, il Poeta intermezza il racconto con due terzine di invocazione alle Muse affinché lo aiutino a rendere, nei versi, cose ardue ad esprimere ed anche a pensare.
Ora, i numeri sottendono significazioni scritturali: i sette alberi che Dante crede di vedere (mentre sono candelabri) possono significare – come intese Pietro Alighieri – i doni dello Spirito santo (sapienza, intelletto, fortezza, consiglio, pietà, scienza e amor di Dio), ma anche i sette ordini del chiericato o le sette lampade che (Apocalisse) fiammeggiano intorno al trono del Signore. Alla visione non si disgiunge il sentire voci cantare “Osanna”. Al culmine, splendeva una luce simile a quella della luna piena a mezzanotte nel cielo limpido. Dante si volge stupito a guardare Virgilio, e lo trova invaso di altrettanto stupore silenzioso. Quindi torna ad ammirare le “alte cose” che si muovevano verso di lui così lentamente da farsi sorpassare da un corteo nuziale (solenne e pudico nel procedere, ai tempi del Poeta). La donna però lo riprende affinché non si limiti a mirare questa luce vicina, ma inoltri lo sguardo oltre. Ed ecco il simbolo dei colori, già anticipato dai fiori gialli e vermigli raccolti da Matelda: appaiono figure bianco-vestite, d’un candore introvabile nel nostro mondo (in Marco, 9,2, si legge, circa la trasfigurazione di Gesù: “Le sue vesti divennero sfolgoranti e candide”).
“L’acqua era come uno specchio. Ormai solo il fiume mi separava dalla visione. Guardando più a fondo, notai che le fiammelle procedevano lasciandosi dietro strisce colorate come l’arcobaleno” (rosso, aranciato, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto). Sette, come tre, è un numero simbolico. Ora Dante scorge, sotto quel bel cielo, ventiquattro vecchi (i 24 libri dell’Antico testamento), a due a due, bianchi di giglio (come detto, anche i colori hanno la loro significazione: il bianco è il simbolo dell’animo immacolato). Tutti cantavano “Benedetta sii tu”: una preghiera alla Madonna, come l’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele. Seguono quattro animali (i quattro Vangeli, anzi, gli evangelisti: Matteo con sembianze quasi umane, Marco simile al leone, Luca a un toro e Giovanni a un’aquila). Ognuno aveva sei ali piene di occhi, come Argo. Ed ecco, in mezzo ai quattro animali, un carro trionfale trainato da un grifone fornito di due ali che non interferivano con le strisce colorate. Esse erano talmente alte, che non si potevano seguire con lo sguardo; le parti del corpo uguali a quelle di un uccello erano d’oro; il resto era bianco mescolato al rosso vermiglio (la purezza di Gesù e il suo sangue sulla Croce). Il carro non era paragonabile, per bellezza, a nessun trionfo romano né allo stesso carro del Sole. Alla destra del veicolo danzavano tre donne: una rossa come il fuoco, l’altra verde smeraldo e la terza nivea (sono le tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità). Ora guidava le danze la bianca, ora la rossa: la Speranza, che è il verde, deve sempre seguire le altre virtù.
Alla parte sinistra del carro, quattro donne vestite di rosso “facean festa” (le virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza). Una di loro, la Prudenza, come scrive san Tommaso, dotata di tre occhi (il passato, il presente e il futuro), guida la danza. Appresso a quanto descritto, venivano due vecchi vestiti in modo diverso ma con uguale portamento austero. Uno pareva un discepolo di Ippocrate; l’altro brandiva una spada. Poi, quattro uomini con umile sembiante, ed uno solo a seguirli (l’Autore dell’Apocalisse, con gli occhi chiusi per concentrarsi sulle sue visioni). Sette persone biancovestite, come le prime della solenne processione, ma senza la corona di gigli, bensì di rose e fiori rossi. Dante, nell’approssimarsi della schiera finale, avrebbe giurato “che tutti ardesser di sopra da’ cigli” (v. 150).
Quando il carro fu davanti al Poeta, s’udì un tuono e tutti si fermarono.