Il signore di San Francisco di Ivan Bunin secondo Serena Vitale

Il signore di San Francisco di Ivan Bunin secondo Serena Vitale

Alla (ri)scoperta del primo Premio Nobel russo

Il signore di San Francisco di Ivan Bunin secondo Serena Vitale
La casa editrice Adelphi compie un'operazione culturale certamente meritoria pubblicando una raccolta di racconti, Il signore di San Francisco, di Ivan Bunin. Probabilmente il nome di questo scrittore dice poco al lettore italiano, ma vale certamente la pena fare la conoscenza di questo autore russo. Tutt'altro che minore, Bunin è stato non solo uno scrittore e un poeta, ma anche il primo russo a vincere il Premio Nobel per la letteratura, nel 1933. La lettura di Il signore di San Francisco conferma la statura di un autore non casualmente accostato ad alcuni giganti della letteratura russa come Tolstoj e soprattutto Čechov. Nella scoperta di Bunin e del suo libro appena pubblicato, ci ha guidato Serena Vitale, grande slavista, profonda conoscitrice del mondo russo e lei stessa scrittrice.

Finalmente,  fra le tenebre che già calavano, l'isola cominciò a offrire la sua mole nera trafitta alla base dal rosso delle luci, il vento si quietò un pochino, si fece più caldo ed odoroso, e sulle onde che andavano anch'esse placandosi, cangianti come nafta, si allungarono le serpi dorate dei lampioni sul molo...

Ivan Alekseevič Bunin (1870-1953) nacque a Voronež da una famiglia di antica nobiltà. Debuttò come poeta, e nel 1901 ricevette il prestigioso premio Puškin per raccolta di liriche Autunno. Nel 1910 pubblicò il romanzo, Il villaggio. Viaggiatore instancabile, con la futura moglie, Vera Muromceva, visitò Ceylon, la Palestina, l’Egitto, la Turchia, l’Africa del Nord. Nel 1920 riuscì ad abbandonare la Russia sovietica e si stabilì in Francia, vivendo tra Parigi e Grasse (qui, durante l’occupazione nazista, diede asilo a un ebreo) . Come i molti suoi compatrioti della folta colonia parigina di émigrés non era certo ricco: quando, nel 1933, gli venne conferito  il premio Nobel, in casa non era nelle condizioni di dare una mancia ai postini che gli recapitavano i numerosi telegrammi di felicitazione (non dall’URSS, dove fino al “disgelo” la sua opera fu messa al bando).

 


Serena Vitale, lei ha scritto che Bunin è stato "l'ultimo classico"; spesso la critica ne ha accostato il nome a quello dei grandi autori russi, Čechov su tutti. Ci potrebbe spiegare la sua definizione ed il rapporto dell'autore con quella grande tradizione letteraria?
Classici, secondo la famosa definizione di Italo Calvino, sono i libri che non finiscono mai di dire quel che hanno da dire… Di più: ostile al modernismo, Bunin era orgoglioso di scrivere nel solco della grande tradizione ottocentesca del suo paese - da Tolstoj a Čechov, appunto.

Alcuni dei racconti che Adelphi manda ora in libreria sono stati scritti a Capri, e tra Napoli e l'isola è ambientato "Il signore di San Francisco ". Che tipo di rapporto ha legato Bunin all'Italia?
Venne in Italia tre volte, nel 1911,’12,’13. Soggiornava per lo più a Capri (Hotel Quisisana), ma conosceva benissimo Roma, Firenze, la Sicilia. Conosceva - e amava - “l’anima dell’Italia”, non soltanto la sua storia, i suoi monumenti. Nel 1915 (l’anno  di un racconto perfetto come" Il signore di San Francisco", attraversato da segni premonitori della morte della 'vecchia' Europa, di un’intera epoca,  di un mondo confortevole, leggero, superfluo) scrisse molte liriche ispirate dal nostro paese. Il 'tema italiano' nella poesia di Bunin si apre con i versi su Giordano Bruno (1906) e si chiude nel nome di Dante (1947).

Bunin fu anche un appassionato viaggiatore e visitò Costantinopoli, Egitto, Algeria ecc. Leggendo questo libro sembra evidente la fascinazione che alcuni di questi luoghi hanno esercitato sullo scrittore, tanto che uno dei racconti più belli è ambientato in Sri Lanka. Quanto ha contato nell'opera di Bunin l'aver conosciuto paesi tanto diversi dalla sua madrepatria Russia ?
L'interesse di Bunin per le culture di altri paesi, soprattutto quelli orientali, era profondo. Nulla a che vedere con l’esotismo: nasceva dalla sua intensa ricerca morale e filosofica, dal desiderio di comprendere le basi culturali e religiose delle più diverse civiltà. Dopo la visita in Turchia, raccontava la moglie, “l'Islam gli entrò profondamente nell’anima” contribuendo alla sua capacità di astrarsi dalla realtà quotidiana; lo aiutava a trovare l’equilibrio necessario per avvicinarsi il più possibile a un ideale di purezza spirituale. L’Islam non fu peraltro il punto finale della ricerca di Bunin, per il quale ogni manifestazione della spiritualità umana era preziosa. Credeva nei comandamenti della Bibbia, rispettava la saggezza del Corano, cercava nelle Quattro Verità del buddismo il superamento dell’inquietudine che assilla  gli esseri mortali.

 A proposito di Russia, il futuro premio Nobel crebbe nella tenuta di campagna dei genitori. Perché Bunin decise di descrivere quel mondo senza sconti, con le durezze, i vizi, la  miseria morale e materiale?
Uno scrittore non 'decide' mai quello che deve scrivere o 'descrivere'. Con Bunin il paesaggio, anche umano, della Russia centrale trovò il suo cantore. Non cercava di abbellirlo. Possedeva una straordinaria capacità di osservazione e nel suo Il villaggio sfatò il  mito, creato a tavolino dai “populisti”, dei contadini russi come popolo “scelto da Dio”. Bunin conosceva perfettamente la situazione che si era creata dopo la riforma del 1861: l'abolizione della servitù della gleba non aveva eliminato l’antagonismo secolare tra proprietari e servi. Aveva lasciato i proprietari senza servi e i servi senza terra, distruggendo gli antichi rapporti patriarcali e aumentando l’oppressione economica, la povertà, la miseria anche morale dei servi “affrancati”.
 

Bunin è stato anche poeta e lo si vede forse nel lirismo con cui descrive la volta celeste, il mare, le nubi o i tramonti. Quanto ha contato la poesia nella sua vita?
Moltissimo, anche se Bunin deve il proprio successo mondiale soprattutto alla prosa. Una prosa in cui il principio lirico è fondamentale sia nella scelta del materiale, sia nel modo in cui la  parola dell’autore illumina quel materiale, restituendo soltanto ciò che è diventato suo sentimento, parte integrante della sua anima. In molte opere di Bunin la narrazione è in prima persona: autore e narratore si fondono, e questo crea una particolare atmosfera di fiducia, intimità, quasi che lo scrittore ci rivelasse i suoi pensieri e sentimenti più intimi rendendoci suoi complici.

 

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