Einar Kàrason secondo Stefano Rosatti

Einar Kàrason secondo Stefano Rosatti

Gabbiani nella tempesta

Einar Kàrason secondo Stefano Rosatti
Con la pubblicazione di Gabbiani nella tempesta arriva finalmente in Italia, edito da Einaudi, Einar Kàrason, uno scrittore islandese celebre nel suo paese, ma tradotto e noto anche a livello internazionale. Si tratta della potente, avvincente narrazione, di una vicenda realmente accaduta nel febbraio 1959. Una terribile  tempesta si scatena al largo dell'isola di Terranova, una delle aree piú pescose del mondo. Quel tratto di mare diventa rapidamente una trappola di ghiaccio: proprio lí naviga il peschereccio islandese Máfur con i suoi trentadue uomini a bordo. Onde alte anche venti metri si abbattono sul peschereccio con una violenza inaudita e l’acqua, a contatto con il ponte dell’imbarcazione e con gli strumenti di pesca, si trasforma immediatamente in ghiaccio, che tutto ricopre e appesantisce. La nave potrebbe rovesciarsi da un momento all’altro e in quel gelo un uomo può resistere solo pochi minuti. Per cercare di scampare al loro destino, i marinai devono compiere un’operazione paradossale: distruggere quanto piú possibile del loro peschereccio senza affondare, anzi, per non affondare.  Devono gettare fuori bordo tutto ciò su cui il ghiaccio si aggrappa: le gru per le reti da pesca, le scialuppe di salvataggio, i loro sostegni… Con uno stile essenziale, ma empatico, Kàrason ci racconta le storie di questi uomini, soli come gabbiani nella tempesta; del loro coraggio, della loro ostinazione nel voler sfuggire a un destino che sembra ormai scritto.

Rai Letteratura ha scelto di farsi guidare alla scoperta di questo testo e di questo autore da Stefano Rosatti che lo ha tradotto. Rosatti insegna lingua e letteratura italiana all'Università d'Islanda.

Piu tardi Làrus avrebbe in effetti sentito uno dei marinai di coperta parlare della voce del loro comandante: pare che fosse così fragorosa e potente che, nei mari islandesi, per esempio nei pressi di Hali, dove spesso pescavano fianco a fianco diverse navi, quando lui gridava dal ponte l'ordine di calare le reti, altri venti pescherecci le calavano all'istante e tutti insieme.



Le chiederei per cominciare una breve presentazione dell'autore, definito il Faulkner islandese, ma poco noto in Italia: chi è Einar Karason?

Beh, Einar Kárason era praticamente sconosciuto al pubblico dei lettori italiani fino all’uscita di Gabbiani nella tempesta, ma a livello internazionale è un autore molto noto, tradotto e  apprezzato. Ed è estremamente prolifico. Al suo attivo ha infatti ben quindici romanzi, oltre a varie biografie, sceneggiature e anche a tre libri per bambini. È nato nel ’55 e ha cominciato giovanissimo a pubblicare poesie su riviste letterarie, ma il grande successo lo ha ottenuto con il primo romanzo della cosiddetta “trilogia di Reykjavík”, Þar sem djöflaeyjan rís (Dove sorge l’isola del diavolo), del 1983, tradotto in inglese e in varie altre lingue e dal quale nel 1996 è stato tratto uno dei film direi più noti nella storia del cinema islandese, con titolo quasi omonimo, cioè Djöflaeyjan (L’isola del diavolo), realizzato da un regista qui in Islanda mitico, Friðrik Þór Friðriksson (con la collaborazione alla sceneggiatura, ovviamente, di Einar stesso). Ma Einar ha ricevuto riconoscimenti anche per altri romanzi, per esempio per Ofsi (Violenza), che nel 2008 ha ottenuto il Premio letterario islandese. Kárason si considera poi anche uno scrittore di romanzi storici. Fin dai tempi dell’università si è interessato soprattutto al Tredicesimo secolo, epoca in cui in Islanda era attivo e potente il clan degli Sturlungar. Anzi, più che per Gabbiani nella tempesta, Einar si è ispirato a Faulkner per Óvinafagnaður (Esultanza dei nemici), un suo romanzo del 2001 ambientato appunto nell’Islanda del ‘200. Lui stesso mi ha detto che per la forma di questo suo lavoro deve molto al faulkneriano As I Lay Dying (Mentre morivo), del 1930. Comunque Kárason, che ammira lo scrittore americano, preferisce lasciar perdere paragoni secondo lui eccessivi.

Questo potente romanzo si riallaccia indubbiamente alla grande tradizione delle narrazioni che hanno al loro centro il mare. A quali autori o modelli pensa si possa far risalire Gabbiani nella tempesta e quali sono invece le caratteristiche peculiari dello scrittore islandese ?

Kárason, come è abbastanza noto, per Gabbiani nella tempesta si è ispirato a un fatto di cronaca avvenuto nel 1959, che aveva coinvolto i due pescherecci islandesi Júlí, affondato con l’intero equipaggio, e Þorkell Máni, il “Máfur” del romanzo, tornato in porto non tanto sano (tutt’altro), ma salvo. Questa tragedia del mare ha da sempre incuriosito Kárason, che avendo pensato a lungo di scriverne, nel tempo ha letteralmente saccheggiato le fonti sull’avvenimento. Inizialmente l’idea dell’autore era quella di comporre una sorta di saga sulla vita marinara islandese, un’opera corposa, quindi. Idea che però non è mai riuscita ad attecchire e a risolversi nella scrittura. E così, quasi di getto, è nato Gabbiani nella tempesta. E come le ho detto, qui Faulkner non c’entra, o c’entra molto poco. Invece, quanto a formato e stringatezza narrativa, Kárason ha preso le misure, diciamo così, sull’Hemingway de Il vecchio e il mare e, quanto a intensità drammatica, sul Conrad di Tifone.

La lingua adoperata dall' autore è essenziale, scorrevole ma puntuale, pur se empatica con i personaggi che racconta. Non mancano però parecchi termini tecnici legati a navi e navigazioni;  quanto è stato difficile tradurlo, visto che immagino lei non sia un vecchio lupo di mare?

Immagina bene. Sono nato a Genova, però il mare l’ho sempre e solo frequentato da comunissimo bagnante, mai da marinaio. Ma il romanzo non è stato difficile solo tradurlo, è stato difficile anche scriverlo. Einar, lui sì, da giovanissimo ha fatto esperienza su un peschereccio (erano lavori stagionali estremamente ben pagati, un tempo, ma non si trattava di passeggiate), e da questa sua esperienza ha tratto e ricreato almeno il personaggio del nostromo (un tipo simile, duro, generoso e inadatto alla vita a terra lo aveva appunto incontrato durante una delle sue spedizioni di gioventù) e quello del telegrafista (che come il personaggio del romanzo, nella realtà era una persona colta, che si occupava attivamente della piccola biblioteca di bordo). Per la complessa terminologia tecnica, oltre a quello che ricordava dei suoi viaggi in mare, Kárason è ricorso all’unica persona ancora in vita che a suo tempo aveva partecipato di persona all’avventura del Máfur, e cioè uno degli ufficiali di macchina. Ogni volta che Einar aveva bisogno di aiuto da questo punto di vista, sollevava la cornetta e gli telefonava. Ma è interessante il fatto che, letto il libro, il macchinista abbia poi chiamato Einar e gli abbia fatto i complimenti perché per la prima volta, finalmente,  dopo anni di resoconti cronachistici, qualcuno aveva descritto come davvero fosse stata vissuta la situazione a bordo. Detto da chi c’era, mi sembra valga più delle più positive recensioni critiche. Per quanto riguarda il mio lavoro sì, è stato molto difficile tradurre i termini tecnici, ho dovuto fare ricerche, studiare anche la conformazione di quelle navi ormai sorpassate. Anch’io però sono ricorso all’aiuto prezioso di un amico islandese. Suo padre era stato addirittura proprietario di alcuni pescherecci nell’est del Paese, e lui stesso da giovane aveva partecipato a spedizioni a bordo di imbarcazioni simili al Máfur. Però nella traduzione, forse la parte più ardua è stata quella di mantenere le coordinate spazio-temporali tra il presente e il doppio (a volte anche triplo) passato narrativo, e poi quella di riflettere la concisione dello stile.     

Negli ultimi anni, diversi autori islandesi si sono affacciati nelle nostre librerie, ad esempio la Ólafsdòttir, da lei tradotta, o Stefánsson. Approfitterei allora della sua competenza  per chiederle tre titoli che suggerirebbe a chi voglia avvicinarsi alla letteratura di quel paese.

Beh, sul primo non ho dubbi: Gente indipendente di Halldór Laxness, premio Nobel islandese del 1955. Il romanzo, pubblicato in due parti fra il 1934 e il 1935 e oggi ritradotto magistralmente da Silvia Cosimini, è uno dei capolavori assoluti della letteratura del Novecento. Imprescindibile. Poi, pubblicato nel 1997 nella traduzione di Fulvio Ferrari, Angeli dell’universo di Einar Már Guðmundsson, coetaneo di Einar Kárason. È un romanzo intenso, splendido, che mi sarebbe davvero piaciuto tradurre e a cui sono legato anche perché è stato uno dei primi da me letti in islandese. Per terzo, segnalerei Il pastore d’Islanda di Gunnar Gunnarsson (1889-1975), tradotto nel 2016 da Maria Valeria D’Avino. Io non ho letto la traduzione (che forse è dal danese, visto che Gunnarsson scrisse tutti i suoi romanzi in danese e poi li ritradusse in islandese), ma l’autore è un altro colosso della letteratura islandese, più volte candidato al Nobel. Questo romanzo, piuttosto breve, è un gioiellino che alcuni islandesi, per tradizione usano rileggere ogni anno prima di Natale (il titolo originale è Adventa).