Matteo Righetto, La stanza delle mele
Vita da montanari
Giacomo, rimasto orfano di entrambi i genitori (il padre è morto in guerra, la madre di tifo), nel 1954 vive con i due fratelli maggiori insieme ai nonni a Daghè, una frazione di Livinallongo nelle Dolomiti bellunesi. La sua è un’infanzia molto difficile: il nonno, convinto che lui sia frutto di un tradimento della nuora nei confronti di suo figlio, lo chiama bastardo e non fa che imporgli compiti dalla mattina alla sera. Un giorno, mentre è nel bosco, alla ricerca di una roncola per il nonno, l’undicenne vede davanti a sé la spaventosa figura di un impiccato: non ne parla ai suoi familiari, solo ai suoi coetanei, giorni dopo, e se ne pente amaramente. Nella seconda parte del romanzo di Matteo Righetto, La stanza delle mele, pubblicato da Feltrinelli, incontriamo Giacomo adulto: dopo la morte dei nonni, avvenuta a pochi giorni di distanza uno dall’altro, il ragazzo è stato mandato a studiare dai preti e poi ha trovato il modo di coltivare la sua passione per l’intaglio del legno. Ora è un artista affermato e sta per presentare la sua nuova opera nel paese in cui è cresciuto e in cui non torna da molti anni. Riuscirà anche a svelare il mistero dell’impiccato, scoprendo una storia oscura che a che fare con la persecuzione degli ebrei durante la Seconda Guerra mondiale. Nel romanzo la storia individuale s’intreccia con la storia italiana e il paesaggio montano risalta in tutta la sua bellezza e cupezza.
Matteo Righetto è docente di Lettere, vive tra Padova e Colle Santa Lucia (Dolomiti). Ha esordito con Savana Padana (TEA, 2012), seguito dai romanzi La pelle dell’orso (Guanda, 2013), da cui è stato tratto un film con Marco Paolini, Apri gli occhi (TEA, 2016, vincitore del Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo) e Dove porta la neve (TEA, 2017). Per Mondadori ha scritto la “Trilogia della Patria” – che comprende i romanzi L’anima della frontiera (2017), L’ultima patria (2018), La terra promessa (2019) – e, insieme a Mauro Corona, il “sillabario alpino” Il passo del vento (2019). Per il teatro ha scritto Da qui alla Luna, prodotto dal Teatro Stabile del Veneto e portato in scena da Andrea Pennacchi. Nel 2019 ha ricevuto il Premio Speciale Dolomiti UNESCO.
Quando il nonno ordinava qualcosa con quel tono, era meglio sbrigarsi. Più era aspro il timbro della voce e più urgente si presentava il suo comando: un'imposizione che alle orecchie del nipote giungeva come una folgore che si schianta su un larice. E quando il vecchio Angelo Nef intimò a Giacomo di tornare nel bosco per recuperare la roncola che aveva dimenticato lì al mattino, di lampi se ne incominciavano a intravedere parecchi. Avanzavano da nord, oltre il massiccio del Sella, accompagnati da un muro di nubi oscure.
Matteo Righetto è docente di Lettere, vive tra Padova e Colle Santa Lucia (Dolomiti). Ha esordito con Savana Padana (TEA, 2012), seguito dai romanzi La pelle dell’orso (Guanda, 2013), da cui è stato tratto un film con Marco Paolini, Apri gli occhi (TEA, 2016, vincitore del Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo) e Dove porta la neve (TEA, 2017). Per Mondadori ha scritto la “Trilogia della Patria” – che comprende i romanzi L’anima della frontiera (2017), L’ultima patria (2018), La terra promessa (2019) – e, insieme a Mauro Corona, il “sillabario alpino” Il passo del vento (2019). Per il teatro ha scritto Da qui alla Luna, prodotto dal Teatro Stabile del Veneto e portato in scena da Andrea Pennacchi. Nel 2019 ha ricevuto il Premio Speciale Dolomiti UNESCO.