Mendelssohn - "Lobgesang"
Le note di sala di Oreste Bossini
In una delle sue taglienti recensioni sul settimanale «The World», il 19 novembre 1890, Bernard Shaw stroncava il Lobgesang di Mendelssohn in questi termini: «La retorica dell’analista programmatico non può ipnotizzare le persone fino al punto di far credere loro che Mendelssohn abbia avuto successo nel creare una grande sinfonia da un materiale appena sufficiente per un pezzo pianistico sentimentale, stiracchiandolo sul telaio dell’orchestra. Quell’abominevole banalità per tromboni con la quale inizia il lavoro, e che non finisce mai fino a che uno non si sente annoiato e oppresso fino a perdere i sensi, sarà citata nei tempi a venire come una prova definitiva che dev’essere esistito uno pseudo-Mendelssohn: non si crederà mai che il compositore della musica di Fingal e di Midsummer Night’s Dream possa aver verosimilmente perpetrato il Lobgesang» . Shaw riecheggiava la vecchia polemica antisemita di Wagner, che nell’Opera d’arte dell’avvenire aveva deriso il Lobgesang come un’impotente imitazione di Beethoven, ma metteva in luce un elemento nuovo, ossia la radicale evoluzione (o involuzione) dello stile di Mendelssohn. L’idea dei due Mendelssohn, infatti, prende corpo nella critica musicale di fine Ottocento, esaltando da una parte il geniale enfant prodige dell’Ottetto e del Sogno di una notte di mezza estate e biasimando dall’altra l’inventore di una musica sacra borghese, il perfetto filisteo musicale dell’età vittoriana.
In realtà, quello che si agitava dietro questa polemica distinzione tra un Mendelssohn “buono”, dalla mano mozartiana, e un Mendelssohn “cattivo”, colpevole di aver gabellato il sentimentalismo per umanesimo beethoveniano, era una contrapposizione sempre più marcata in seno alla musica romantica tra chi propugnava l’ethos del popolo (Volk) come la radice dell’autentica espressione musicale e chi, invece, nutriva l’ambizione di elevare la musica a forza etica, culturale e religiosa primaria nel passaggio da Kultur a Zivilisation, secondo la formula adottata da Thomas Mann per inquadrare lo sviluppo della storia tedesca. L’ossessione di Wagner per Mendelssohn nasce probabilmente da questa rivalità, che si traduce in due grandiosi progetti di politica culturale di natura radicalmente opposta. Wagner e Mendelssohn, così come in misura minore Liszt e Berlioz, erano convinti della possibilità d’incidere nella società del loro tempo attraverso la musica. Ciascuno a suo modo, entrambi hanno cercato di realizzare un grandioso progetto culturale che fosse in grado di indirizzare lo sviluppo della nazione tedesca. Mendelssohn era convinto del potere etico e sociale della musica, e si è impegnato a fondo per organizzare e plasmare la vita musicale con un dispendio di energie che forse ha pagato con la morte prematura. A Berlino ha contribuito in misura notevole a sostenere la Singakademie, e ne avrebbe anche assunto la direzione dopo la scomparsa del suo maestro Carl Zelter se una fronda antisemita all’interno dell’associazione non gli avesse preferito un mediocre musicista, un rifiuto che lasciò dentro di lui una cicatrice duratura. Mendelssohn scrisse i suoi monumentali lavori corali con un occhio all’effetto sociale della coesione religiosa, e accettò il gravoso compito di riformare le istituzioni musicali di una città dal passato glorioso ma dall’incerto presente come Lipsia, fondando il primo Conservatorio in Germania, e in seguito accettò anche, nonostante i dubbi e i timori per la propria salute, l’incarico di consigliere musicale della corte prussiana, desiderosa di rinnovare la vita culturale di Berlino. Il sarcasmo di Wagner negli anni Quaranta per la «religione musicale» di Mendelssohn era un tentativo di liberarsi dall’influenza di Mendelssohn, ed è significativo che l’ultimo lavoro di Wagner, Parsifal, sia una sorta di gigantesca critica e contrapposizione alla concezione neoclassica di Mendelssohn. Il progetto del Lobgesang, pubblicato come Sinfonia per coro e orchestra e non come Sinfonia n. 2, è forse il primo grande lavoro della svolta stilistica e culturale che segna l’ultimo decennio dell’attività di Mendelssohn.
In una lettera del 21 luglio 1840 all’amico Klingemann racconta per la prima volta qualcosa del Lobgesang: «Il pezzo per la festa locale - a Lipsia - non era un Oratorio, bensì, come l’ho chiamato in tedesco, “eine Symphonie für Chor und Orchester” e s’intitola Lobgesang – prima tre movimenti sinfonici, ai quali si aggiungono dodici pezzi solistici e corali; le parole sono dei Salmi, e proprio tutti i pezzi, vocali e strumentali, sono composti sulle parole «Alles, was Odem hat, lobe den Herrn» [Tutto ciò che respira lodi il Signore, Salmo 150]; capisci bene che prima sono gli strumenti a lodare, nel modo adatto a loro, e poi il coro e le singole voci» . La «festa locale» era il quarto centenario dell’invenzione della stampa, che in una città come Lipsia, il principale centro dell’editoria tedesca, non poteva che essere celebrato con tutti gli onori. Nel giugno 1840 Mendelssohn scrisse per l’occasione il Lobgesang «eine Symphonie-Cantate», definizione suggerita da Klingemann, e sulla partitura pubblicata a Lipsia nel 1841 fece incidere il motto di Lutero «Ma io vorrei vedere tutte le arti, in particolare la Musica, al servizio di Colui che le ha date e create». In un’altra lettera a Klingemann, il 18 novembre successivo, Mendelsshon aggiunge
In realtà, quello che si agitava dietro questa polemica distinzione tra un Mendelssohn “buono”, dalla mano mozartiana, e un Mendelssohn “cattivo”, colpevole di aver gabellato il sentimentalismo per umanesimo beethoveniano, era una contrapposizione sempre più marcata in seno alla musica romantica tra chi propugnava l’ethos del popolo (Volk) come la radice dell’autentica espressione musicale e chi, invece, nutriva l’ambizione di elevare la musica a forza etica, culturale e religiosa primaria nel passaggio da Kultur a Zivilisation, secondo la formula adottata da Thomas Mann per inquadrare lo sviluppo della storia tedesca. L’ossessione di Wagner per Mendelssohn nasce probabilmente da questa rivalità, che si traduce in due grandiosi progetti di politica culturale di natura radicalmente opposta. Wagner e Mendelssohn, così come in misura minore Liszt e Berlioz, erano convinti della possibilità d’incidere nella società del loro tempo attraverso la musica. Ciascuno a suo modo, entrambi hanno cercato di realizzare un grandioso progetto culturale che fosse in grado di indirizzare lo sviluppo della nazione tedesca. Mendelssohn era convinto del potere etico e sociale della musica, e si è impegnato a fondo per organizzare e plasmare la vita musicale con un dispendio di energie che forse ha pagato con la morte prematura. A Berlino ha contribuito in misura notevole a sostenere la Singakademie, e ne avrebbe anche assunto la direzione dopo la scomparsa del suo maestro Carl Zelter se una fronda antisemita all’interno dell’associazione non gli avesse preferito un mediocre musicista, un rifiuto che lasciò dentro di lui una cicatrice duratura. Mendelssohn scrisse i suoi monumentali lavori corali con un occhio all’effetto sociale della coesione religiosa, e accettò il gravoso compito di riformare le istituzioni musicali di una città dal passato glorioso ma dall’incerto presente come Lipsia, fondando il primo Conservatorio in Germania, e in seguito accettò anche, nonostante i dubbi e i timori per la propria salute, l’incarico di consigliere musicale della corte prussiana, desiderosa di rinnovare la vita culturale di Berlino. Il sarcasmo di Wagner negli anni Quaranta per la «religione musicale» di Mendelssohn era un tentativo di liberarsi dall’influenza di Mendelssohn, ed è significativo che l’ultimo lavoro di Wagner, Parsifal, sia una sorta di gigantesca critica e contrapposizione alla concezione neoclassica di Mendelssohn. Il progetto del Lobgesang, pubblicato come Sinfonia per coro e orchestra e non come Sinfonia n. 2, è forse il primo grande lavoro della svolta stilistica e culturale che segna l’ultimo decennio dell’attività di Mendelssohn.
In una lettera del 21 luglio 1840 all’amico Klingemann racconta per la prima volta qualcosa del Lobgesang: «Il pezzo per la festa locale - a Lipsia - non era un Oratorio, bensì, come l’ho chiamato in tedesco, “eine Symphonie für Chor und Orchester” e s’intitola Lobgesang – prima tre movimenti sinfonici, ai quali si aggiungono dodici pezzi solistici e corali; le parole sono dei Salmi, e proprio tutti i pezzi, vocali e strumentali, sono composti sulle parole «Alles, was Odem hat, lobe den Herrn» [Tutto ciò che respira lodi il Signore, Salmo 150]; capisci bene che prima sono gli strumenti a lodare, nel modo adatto a loro, e poi il coro e le singole voci» . La «festa locale» era il quarto centenario dell’invenzione della stampa, che in una città come Lipsia, il principale centro dell’editoria tedesca, non poteva che essere celebrato con tutti gli onori. Nel giugno 1840 Mendelssohn scrisse per l’occasione il Lobgesang «eine Symphonie-Cantate», definizione suggerita da Klingemann, e sulla partitura pubblicata a Lipsia nel 1841 fece incidere il motto di Lutero «Ma io vorrei vedere tutte le arti, in particolare la Musica, al servizio di Colui che le ha date e create». In un’altra lettera a Klingemann, il 18 novembre successivo, Mendelsshon aggiunge
Alla fine del mese sarà eseguito qui il mio Lobgesang, al concerto in favore dei musicisti anziani e malati; ho deciso di non presentarlo più in forma incompleta, perché doveva essere eseguito a Birmingham a causa della mia malattia; e ciò mi darà un bel daffare. Ci sono ancora da aggiungere quattro pezzi, e anche nei tre movimenti sinfonici c’è molto da migliorare. Strano che fin dalla prima idea abbia scritto a Berlino di voler fare una Sinfonia con coro; dopodiché non ne ho avuto il coraggio, perchè i tre movimenti sarebbero stati troppo lunghi come introduzione, e tuttavia ho sempre avuto la sensazione che mancasse qualcosa in quanto mera introduzione
Le preoccupazioni di Mendelssohn erano evidentemente legate al confronto con la Nona di Beethoven, che aveva un’analoga struttura di tre movimenti strumentali seguiti da una parte corale. In vista della nuova esecuzione, il Lobgesang fu ampliato di nuove parti vocali, con l’aggiunta della grande scena del tenore culminante sulle parole del profeta Isaia «Hüter, ist die Nacht bald hin?» (Sentinella, è passata la notte?), probabilmente per allontanare l’impressione di essere un epigono di Beethoven. In realtà le fasi della composizione devono essere più articolate, dal momento che già in una lettera del 1 gennaio 1839 Mendelssohn racconta di aver iniziato una Sinfonia in si bemolle maggiore, e quindi è possibile che parti di questo lavoro siano poi confluite nel progetto del Lobgesang. In definitiva, quello che conta, prendendo in esame la versione definitiva pubblicata nel 1841, è il carattere ciclico della cantata sinfonica, che s’inserisce nel solco di una strategia compositiva elaborata fin dai tempi dei lavori giovanili. Mendelssohn probabilmente riteneva che questa idea, ossia di collegare le grandi forme attraverso il ritorno di elementi tematici nei vari movimenti, potesse immettere nel genere sinfonico una nuova linfa vitale, che la forma sonata non sembrava più in grado di offrire. Era esattamente questo eterno ritorno del tema dell’inno a urtare la pazienza di Shaw, e di altri commentatori, alla fine dell’Ottocento.
I tre movimenti sinfonici che precedono la parte vocale sono collegati insieme in un unico blocco. Il motto dell’inno, soffiato dal terzetto di tromboni, riempie di echi sonori lo spazio dell’introduzione, indicata come Maestoso con moto. L’Allegro sviluppa una forma sonata ma con delle licenze, che ne mettono in risalto il carattere problematico. Le varie fasi della forma sonata, infatti, si fondono con il motto dell’inno, che diventa così il vero germe della struttura formale. Un’ultima apparizione del motto, nel corale di tromboni, e una cadenza del clarinetto operano la sutura fra il primo movimento e l’Allegretto un poco agitato in sol minore. La lode al Signore nasce dalla quotidiana esperienza della fatica e del dolore, come ricorda questa velata melodia, che si staglia su un paesaggio spoglio di suono e scarno di stile. Il bisogno si fonde, nella parte centrale in maggiore, con la speranza offerta dalla fede, rappresentata dal corale dei fiati che risponde con sempre maggior vigore ai frammenti del tema sparsi dagli archi. L’Adagio religioso, che si stacca dal contesto armonico della Sinfonia per la stridente tonalità di Re maggiore, raccoglie il peso del lacerante conflitto interiore del movimento precedente, aprendo l’animo umano alla prospettiva della fede.
I tre movimenti sinfonici che precedono la parte vocale sono collegati insieme in un unico blocco. Il motto dell’inno, soffiato dal terzetto di tromboni, riempie di echi sonori lo spazio dell’introduzione, indicata come Maestoso con moto. L’Allegro sviluppa una forma sonata ma con delle licenze, che ne mettono in risalto il carattere problematico. Le varie fasi della forma sonata, infatti, si fondono con il motto dell’inno, che diventa così il vero germe della struttura formale. Un’ultima apparizione del motto, nel corale di tromboni, e una cadenza del clarinetto operano la sutura fra il primo movimento e l’Allegretto un poco agitato in sol minore. La lode al Signore nasce dalla quotidiana esperienza della fatica e del dolore, come ricorda questa velata melodia, che si staglia su un paesaggio spoglio di suono e scarno di stile. Il bisogno si fonde, nella parte centrale in maggiore, con la speranza offerta dalla fede, rappresentata dal corale dei fiati che risponde con sempre maggior vigore ai frammenti del tema sparsi dagli archi. L’Adagio religioso, che si stacca dal contesto armonico della Sinfonia per la stridente tonalità di Re maggiore, raccoglie il peso del lacerante conflitto interiore del movimento precedente, aprendo l’animo umano alla prospettiva della fede.
Il tema del rapporto di Mendelssohn con la religione, sia quella cristiana che quella ebraica, è particolarmente complesso, certamente più sfaccettato di quanto non accada per i compositori della generazione romantica. In questa pagina non c’è traccia della dossologia precedente, ma solo la calda umanità del canto, bagnato da una luce crepuscolare. Il motto dell’inno giunge come da lontano, all’inizio della seconda parte della Sinfonia, per preparare il trionfale ingresso del coro. La scrittura vocale mette in luce l’inclinazione di Mendelssohn per il linguaggio contrappuntistico, specie nei numeri strettamente polifonici. Il coro iniziale, «Alles was Odem hat», ha un tono forse un po’ troppo assertivo, quasi marziale, che si addolcisce nella seconda parte, «Lobt den Herrn mit Saiten spiel», nella quale si manifesta con maggior evidenza la perfetta conoscenza della musica del passato, in particolare degli oratorî di Handel e di Haydn.
La successiva aria del tenore, «Er zählet unsre Thränen», accompagnata dai soli archi in un avvolgente sol minore, introduce un tono patetico, che si diffonde nel coro successivo fino a sfociare nel duetto in Mi bemolle maggiore dei soprani «Ich harrete des Herrn». La tinta sentimentale di questo numero è segnata dal timbro di un corno obbligato. La parte aggiunta per la produzione inglese, l’ampia e drammatica scena del Guardiano notturno, rappresenta il punto culminante della cantata sinfonica. Il testo è tratto dal Libro di Isaia, 21 – 11,12, versetti che Mendelssohn giudicava «i più belli immaginabili, e adatti, come se fossero pensati per questa musica». La scrittura teatrale di questo drammatico recitativo, con i violenti sussulti provocati dal tremolo degli archi e dai lividi unisoni degli strumenti a fiato, si distingue dal carattere abbastanza convenzionale del resto della cantata. Una voce angelica, che annuncia la fine della notte, porta in salvo la musica da questo cupo momento di crisi. La luce del giorno appare nello splendore della tonalità di Re maggiore, così come nella prima parte strumentale la sfera religiosa s’ammantava della medesima armonia. Il beethoveniano percorso dal buio alla luce è inserito da Mendelssohn in un contesto pienamente confessionale, grazie all’aggiunta di un corale di stile luterano in Sol maggiore. La conclusione, comunque, è affidata a un duetto fra tenore e soprano, «Drum sing’ ich mit meinem Liede», che riporta la musica al clima sentimentale della prima parte e alla tonalità di Si bemolle maggiore, nella quale si espande il grandioso coro finale, che dimostra ancora una volta come il contrappunto, in tutte le sue forme, sia la vera anima della «sacra arte tedesca».
Oreste Bossini - Dalle note di sala del concerto dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai del 16 gennaio 2023
[Nella foto una pagina della celeberrima Bibbia stampata per la prima volta nella storia da Giovanni Gutenberg]
Oreste Bossini - Dalle note di sala del concerto dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai del 16 gennaio 2023
[Nella foto una pagina della celeberrima Bibbia stampata per la prima volta nella storia da Giovanni Gutenberg]