Le note di sala del concerto n. 18 stagione 2024/2025
8 e 9 maggio 2025. Auditorium Rai Torino
Claude Debussy
Prélude à l'après-midi d'un faune, L 87
L'après-midi d'un faune è un’egloga di Stéphane Mallarmé, pubblicata nel 1876 a Parigi dall’editore Alphonse Derenne con alcune illustrazioni di Edouard Manet. La prima edizione fu tirata in 195 copie numerate, al prezzo di 15 franchi.
Prélude à l'après-midi d'un faune, L 87
L'après-midi d'un faune è un’egloga di Stéphane Mallarmé, pubblicata nel 1876 a Parigi dall’editore Alphonse Derenne con alcune illustrazioni di Edouard Manet. La prima edizione fu tirata in 195 copie numerate, al prezzo di 15 franchi.
È il monologo di un fauno, il quale, in preda a un delirio lirico, evoca in centodieci preziosi versi alessandrini il desiderio delle ninfe e il suo abbandono alla natura assopita nel caldo del meriggio
La natura teatrale dei versi di Mallarmé è rivelata dalla grafica del libro, che indica il personaggio «Le faune» sopra il celebre verso d’apertura («Ce nymphes, je le veux perpétuer.»), come nel copione di un dramma. Nel 1891, spinto dal giovane drammaturgo Paul Fort, Mallarmé pensò effettivamente di creare uno spettacolo teatrale, chiedendo a Debussy di collaborare per le musiche. Il progetto alla fine non andò in porto, ma Debussy conservò l’idea di scrivere un lavoro ispirato a questa poesia, capace di entrare tanto a fondo nelle pieghe più oscure delle passioni.
Debussy concentrò in un unico, breve poema sinfonico l’intelaiatura più articolata del progetto originario, aggiungendo il termine Prélude al titolo di Mallarmé.
Debussy concentrò in un unico, breve poema sinfonico l’intelaiatura più articolata del progetto originario, aggiungendo il termine Prélude al titolo di Mallarmé.
La musica, dunque, evoca ciò che sta prima del testo, riuscendo, come affermò lo stesso Mallarmé, ad andare più lontano nella nostalgia e nella luce
Si tratta di un teatro immaginario, in cui la scena è dipinta dalla musica, con minimi tocchi di colore, alla luce di uno dei più bei versi dell’egloga («Inerte, tout brûle dans l’heure fauve»).
Il celebre tema del flauto, con la languida discesa cromatica, incarna con geniale finezza la natura sensuale del fauno, ambiguo impasto di lascivia e melanconia, il cui erotismo si sprigiona fin dal primo, fulminante verso
Il testo di Mallarmé è da collocare sullo sfondo della grande crisi che si apre nella cultura europea sullo scorcio dell’Ottocento. Il monologo del fauno è una variazione sul tema di amore e morte, che secondo Schopenhauer è incarnato dall’immagine del dio Shiva, i cui attributi rituali sono la collana di teschi e il linga, la pietra fallica. Debussy riesce a cogliere i nessi profondi del testo di Mallarmé e li restituisce in forma purificata e originale.
Il tema scivola lentamente nel nulla, e s’inabissa in una serie di ripetizioni sempre più fievoli fino a essere inghiottito nell’eco lontana dei corni. È accompagnato dal lieve rintocco di cimbali antichi, delicatissima allusione a un corteo funebre.
Il tema scivola lentamente nel nulla, e s’inabissa in una serie di ripetizioni sempre più fievoli fino a essere inghiottito nell’eco lontana dei corni. È accompagnato dal lieve rintocco di cimbali antichi, delicatissima allusione a un corteo funebre.
Il sonno del fauno appare simile alla morte, ma è un trapasso dolce, come una lenta discesa nelle acque di un lago
In mezzo, tra il primo lampo di desiderio e l’estrema dissolvenza dell’essere, scorre un corteo di figure in filigrana, epifanie improvvise, fenomeni che si manifestano in gesti d’immediata plasticità, rapidi nello svanire. Il Prélude, nella perfezione stilistica del suo lirismo sospeso, è un raro esempio di come la musica abbia saputo accogliere, nel proprio linguaggio, quella che Mallarmé definisce in uno dei versi «une sonore, vaine et monotone ligne» (una sonora, vuota e monotona linea), la cui impercettibile vibrazione si confonde con l’impalpabile materia della poesia.
Oreste Bossini (dagli Archivi Rai)
Ottorino Respighi
La boutique fantasque, suite dal balletto, su musiche di Gioachino Rossini
È possibile intendere la pratica dell'orchestrazione come una faccenda tecnica, artigianale, non legata alla creazione in senso stretto: si può pensare che la musica esiste per i fatti suoi e che poi tocchi escogitare una serie di soluzioni per farla suonare da un'orchestra anziché da un pianoforte, da un quartetto d'archi, da un gruppo di ottoni. Ouando Mahler o Stokowsky ritoccavano l'orchestrazione delle sinfonie di Beethoven perché sembrava loro che potessero suonare meglio, in fondo facevano questo. E quando si leggono diari e memorie di compositori che scrivono "ho finito la musica: ora comincio a orchestrare" si ha a che fare con questa idea:
Oreste Bossini (dagli Archivi Rai)
Ottorino Respighi
La boutique fantasque, suite dal balletto, su musiche di Gioachino Rossini
È possibile intendere la pratica dell'orchestrazione come una faccenda tecnica, artigianale, non legata alla creazione in senso stretto: si può pensare che la musica esiste per i fatti suoi e che poi tocchi escogitare una serie di soluzioni per farla suonare da un'orchestra anziché da un pianoforte, da un quartetto d'archi, da un gruppo di ottoni. Ouando Mahler o Stokowsky ritoccavano l'orchestrazione delle sinfonie di Beethoven perché sembrava loro che potessero suonare meglio, in fondo facevano questo. E quando si leggono diari e memorie di compositori che scrivono "ho finito la musica: ora comincio a orchestrare" si ha a che fare con questa idea:
l'orchestrazione è un gesto da compiersi dopo, un gesto inevitabile, faticoso, pieno di insidie ma necessario perché la musica possa essere eseguita
Ma si può pensare alla pratica dell'orchestrazione come a un elemento fondante della composizione: si può pensare che senza quel particolare suono un pezzo non abbia senso, sia diverso, voli via. Nel Novecento l'abbiamo pensata così: la musica di Debussy non potrebbe esistere senza il suo suono. E non ci verrebbe in mente di ritoccare l'orchestrazione di Beethoven.
Sul parametro suono si è fondata l'estetica di una parte importante delle vecchie avanguardie e il suono è oggi il patrimonio tecnico e artistico sul quale si fonda la carriera di un produttore discografico, di una rock star, di un dj: nella musica commerciale spesso la creazione è messa in moto da un'idea timbrica prima che ritmica o melodica: con un certo suono posso costruire un pezzo; senza quel suono sono spacciato.
Quando Respighi orchestrava pagine cameristiche, quando per i Balletti Russi di Djagilev nel 1919 scriveva La boutique fantasque (sul Rossini pianistico dei Péchés de vieillesse) o quando orchestrava una Passacaglia di Bach, quando sistemava sul tavolino "gli originali" e, accanto, sui fogli grandi da orchestra preparava "la sua versione", a rigore ostentava il suo strepitoso artigianato, prendeva la musica e le cuciva addosso uno scintillante vestito nuovo (il Maestro, modestamente, aveva studiato con Rimskij-Korsakov).
Sul parametro suono si è fondata l'estetica di una parte importante delle vecchie avanguardie e il suono è oggi il patrimonio tecnico e artistico sul quale si fonda la carriera di un produttore discografico, di una rock star, di un dj: nella musica commerciale spesso la creazione è messa in moto da un'idea timbrica prima che ritmica o melodica: con un certo suono posso costruire un pezzo; senza quel suono sono spacciato.
Quando Respighi orchestrava pagine cameristiche, quando per i Balletti Russi di Djagilev nel 1919 scriveva La boutique fantasque (sul Rossini pianistico dei Péchés de vieillesse) o quando orchestrava una Passacaglia di Bach, quando sistemava sul tavolino "gli originali" e, accanto, sui fogli grandi da orchestra preparava "la sua versione", a rigore ostentava il suo strepitoso artigianato, prendeva la musica e le cuciva addosso uno scintillante vestito nuovo (il Maestro, modestamente, aveva studiato con Rimskij-Korsakov).
Ma quando si ascoltano gli esiti del suo lavoro, quando si ascolta la sua orchestra, ci si accorge che Respighi aveva il dono di annullare il materiale musicale di base, di far dimenticare il pretesto, di allontanare dalla sala da concerto Bach o Rossini per fare ascoltare una cosa soltanto: il suo modo di far suonare un'orchestra
Che era orgiastico, appagante, sorprendente - come dimostra l'eccitante versione de La boutique fantasque appena incisa da Noseda con la BBC Philharmonic Orchestra.
Nicola Campogrande (dagli Archivi Rai)
Igor Stravinskij
Le sacre du printemps
Il balletto Le sacre du printemps, il cui titolo russo è Vesna Svja[sc]ennaja, fu allestito la prima volta nel maggio del 1913 al Théâtre des Champs-Elysées, con la coreografia di Vaclav Nizinskij e le scene di Nikolaj Roerich. Marie Pilz interpretava l'Eletta, e Pierre Monteaux dirigeva l'orchestra. L’origine del Sacre è una visione.
Nicola Campogrande (dagli Archivi Rai)
Igor Stravinskij
Le sacre du printemps
Il balletto Le sacre du printemps, il cui titolo russo è Vesna Svja[sc]ennaja, fu allestito la prima volta nel maggio del 1913 al Théâtre des Champs-Elysées, con la coreografia di Vaclav Nizinskij e le scene di Nikolaj Roerich. Marie Pilz interpretava l'Eletta, e Pierre Monteaux dirigeva l'orchestra. L’origine del Sacre è una visione.
L’idea della Sagra – racconta Stravinskij – mi venne in mente mentre stavo ancora componendo l'Uccello di fuoco. Avevo sognato una scena di un rito pagano in cui una vergine sacrificale danza fino a morirne
Il musicista ne parlò subito con Roerich, anche autorevole conoscitore della cultura slava primitiva, e con Diaghilev. Stravinskij terminò il lavoro il 17 novembre 1912 a Clarens, in Svizzera, un giorno in cui era afflitto da «un feroce mal di denti». Pochi lavori del Novecento vantano una letteratura critica così sterminata. Pierre Boulez scrisse nel 1951 un saggio epocale, che metteva in luce l'aspetto innovativo dell'invenzione ritmica. Secondo l'autore, la partitura era così ardita per l'epoca da non aver generato alcuna discendenza.
Gli elementi innovativi erano tre: la complessità ritmica eccezionale, mediante un uso raffinato di combinazioni matematiche; lo sviluppo di strutture ritmiche anziché armonico-tonali; l'intuizione di una forma dinamica basata sul ritmo
Al di fuori dell'aspetto ritmico, Boulez non apprezzava altro nella scrittura di Stravinskij. Sul fronte opposto, il direttore d'orchestra svizzero Ernest Ansermet vedeva in Stravinskij l'esempio del genio creatore, l'artista capace di saldare la forma sonora al senso delle cose.
Il segreto di questa partitura sconvolgente, secondo Ansermet, consisteva nell'intuizione sensibile dell'essere
Il famoso inizio del Sacre, con il do acutissimo del fagotto, rappresentava l'emblema della musica di Stravinskij, in quanto «esso è altrettanto espressivo di ciò che deve rappresentare – l'estrema tensione di una voce umana immaginaria – che la melodia stessa».
I principi compositivi del Sacre erano del tutto estranei al linguaggio sinfonico tardo romantico, fondato sulla simmetria e l'organizzazione tonale. Il famoso accordo ribattuto su un ritmo irregolare con cui iniziano gli Augures printaniers, probabilmente la prima idea musicale del Sacre, sfugge a qualunque definizione della forma armonica. I molteplici tentativi di un’analisi della sua struttura intervallare sfuggono, in effetti, a un'interpretazione definitiva e convincente. Ma all'ascolto, le relazioni armoniche dell'accordo scivolano in secondo piano rispetto all’impatto della pura materia sonora generata dalla sua ripetizione martellante. L'attenzione si sposta giocoforza sugli accenti irregolari del ritmo, accentuati dal colpo secco dei corni. Eppure non c'è dubbio che in questo episodio si sviluppi in modo avvincente il senso di una forma, nonostante l'assenza di una struttura tematica e di una costruzione tonale. L'Introduzione della prima parte, L'adorazione della terra, mostra come Stravinskij crei una forma musicale dosando con raffinato senso compositivo il colore e lo spessore dei timbri.
Le idee principali del lavoro (la melodia modale, l'appoggiatura di seconda minore, l'intervallo di quarta, il cromatismo, la quarta discendente, l'acciaccatura) si presentano all'inizio nel canto del fagotto, che espone in maniera grezza il materiale. Poi una delicata velatura sonora, attorno a un tema del clarinetto, conferisce alla scrittura orchestrale un primo accenno di prospettiva. Comincia a manifestarsi un'incerta dimensione armonica, con un disegno dell'oboe oscillante tra modo maggiore e minore. In questo brodo armonico primordiale si percepisce la prima pulsazione di un ritmo, con la nota pizzicata di un violoncello incastrata tra le voci dei legni e lo squillo del clarinetto piccolo, che risveglia lentamente tutta l'orchestra. Il fagotto riprende il tema iniziale, ma abbassato di un semitono, come se fosse più lontano. La forma musicale dell'Introduzione esprime perfettamente il soggetto teatrale, senza ricorrere ai processi compositivi tradizionali.
Nel Sacre l'orchestra accumula tensione tramite la sovrapposizione timbrica e la stratificazione degli elementi ritmici. I picchi d'energia si esauriscono di solito all'improvviso, con un simultaneo passaggio da una sezione all’altra. Gli strumenti manifestano un ampio spettro di stili, che passano dalla finezza decorativa alla brutalità selvaggia.
Il Sacre rimane in ogni caso, come ogni capolavoro, al di là di una comprensione definitiva. Come per il pellegrino interrogato da Jung o da Freud, si potrebbe chiedere alla partitura tanto «dove vai?», quanto «da dove vieni?». La potenza della sua forza espressiva rimane invece indiscutibile.
I principi compositivi del Sacre erano del tutto estranei al linguaggio sinfonico tardo romantico, fondato sulla simmetria e l'organizzazione tonale. Il famoso accordo ribattuto su un ritmo irregolare con cui iniziano gli Augures printaniers, probabilmente la prima idea musicale del Sacre, sfugge a qualunque definizione della forma armonica. I molteplici tentativi di un’analisi della sua struttura intervallare sfuggono, in effetti, a un'interpretazione definitiva e convincente. Ma all'ascolto, le relazioni armoniche dell'accordo scivolano in secondo piano rispetto all’impatto della pura materia sonora generata dalla sua ripetizione martellante. L'attenzione si sposta giocoforza sugli accenti irregolari del ritmo, accentuati dal colpo secco dei corni. Eppure non c'è dubbio che in questo episodio si sviluppi in modo avvincente il senso di una forma, nonostante l'assenza di una struttura tematica e di una costruzione tonale. L'Introduzione della prima parte, L'adorazione della terra, mostra come Stravinskij crei una forma musicale dosando con raffinato senso compositivo il colore e lo spessore dei timbri.
Le idee principali del lavoro (la melodia modale, l'appoggiatura di seconda minore, l'intervallo di quarta, il cromatismo, la quarta discendente, l'acciaccatura) si presentano all'inizio nel canto del fagotto, che espone in maniera grezza il materiale. Poi una delicata velatura sonora, attorno a un tema del clarinetto, conferisce alla scrittura orchestrale un primo accenno di prospettiva. Comincia a manifestarsi un'incerta dimensione armonica, con un disegno dell'oboe oscillante tra modo maggiore e minore. In questo brodo armonico primordiale si percepisce la prima pulsazione di un ritmo, con la nota pizzicata di un violoncello incastrata tra le voci dei legni e lo squillo del clarinetto piccolo, che risveglia lentamente tutta l'orchestra. Il fagotto riprende il tema iniziale, ma abbassato di un semitono, come se fosse più lontano. La forma musicale dell'Introduzione esprime perfettamente il soggetto teatrale, senza ricorrere ai processi compositivi tradizionali.
Nel Sacre l'orchestra accumula tensione tramite la sovrapposizione timbrica e la stratificazione degli elementi ritmici. I picchi d'energia si esauriscono di solito all'improvviso, con un simultaneo passaggio da una sezione all’altra. Gli strumenti manifestano un ampio spettro di stili, che passano dalla finezza decorativa alla brutalità selvaggia.
Il Sacre rimane in ogni caso, come ogni capolavoro, al di là di una comprensione definitiva. Come per il pellegrino interrogato da Jung o da Freud, si potrebbe chiedere alla partitura tanto «dove vai?», quanto «da dove vieni?». La potenza della sua forza espressiva rimane invece indiscutibile.
L'autentica sorgente poetica del Sacre è l'impressione profonda della vesna, della primavera russa, con il disgelo dei grandi fiumi, gli sciami di insetti nelle immense paludi, le fioriture improvvise
Le memorie di Stravinskij sull'arrivo della primavera a San Pietroburgo sono incantevoli, un immenso magazzino di percezioni sensoriali accumulate nell’infanzia. L'odore di muffa del mantello di lana cotta zuppo di pioggia, il sapore dei gamberi d'acqua dolce e del tabacco machorka, il colore ocra dei palazzi, il rumore dello schiocco della frusta sul dorso dei cavalli che attraversavano il Canale Krukov, questi ricordi, in definitiva, sono la fonte d'ispirazione del Sacre. La storia della musica deve forse ringraziare un ignoto mugiko, che divertiva il figlio del padrone producendo rumori poco edificanti con la mano sotto l'ascella. La meraviglia di quel suono inaspettato non ha mai abbandonato il fanciullo Stravinskij.
A differenza di Schönberg, la metamorfosi artistica di Igor Stravinskij è stato uno dei fenomeni piu sensazionali del Novecento. I tre balletti scritti per Diaghilev (L'oiseau de feu, 1910; Petruška, 1911; Le Sacre du Printemps, 1912) trasformarono dall'oggi al domani l'oscuro discepolo di Rimskij-Korsakov nella celebrità del giorno di Parigi. Il Sacre rappresenta l'apice di questa prima fase della sua produzione.
A differenza di Schönberg, la metamorfosi artistica di Igor Stravinskij è stato uno dei fenomeni piu sensazionali del Novecento. I tre balletti scritti per Diaghilev (L'oiseau de feu, 1910; Petruška, 1911; Le Sacre du Printemps, 1912) trasformarono dall'oggi al domani l'oscuro discepolo di Rimskij-Korsakov nella celebrità del giorno di Parigi. Il Sacre rappresenta l'apice di questa prima fase della sua produzione.
La burrascosa première del balletto, il 29 maggio 1913, fece l'effetto di una bomba gettata sul secolo passato. La musica brutale e cubista, la coreografia erotica, il carattere anti-narrativo del soggetto, l'irritazione per la claque organizzata scatenarono la reazione tumultuosa del pubblico
Il Sacre fu il momento culminante dell'esaltante esperienza artistica dei Ballets russes. L'arrivo di Diaghilev a Parigi fu vissuto come l'avvento di un teatro nuovo e sconvolgente. Henri Ghéon sulla Nouvelle Revue Française si spinse a definire i Ballets russes una nuova forma di opera d'arte totale, "il sogno di Mallarmé". Da quel momento Stravinskij è stato considerato per antonomasia il campione della musica moderna, come dimostra agli albori della cultura pop anche la versione del Sacre usata da Walt Disney per Fantasia.
La rapida evoluzione di Stravinskij tuttavia era solo la punta dell'iceberg. Il quinquennio 1909-1914 ha rappresentato una sorta di big bang della musica del Novecento: i 5 Pezzi per orchestra (1909) e Pierrot lunaire (1912) di Schönberg, Il castello del duca Barbablù (1911) di Bartók, gli Altenberg-Lieder (1911/12) di Berg, Jeux (1912/13) di Debussy, Sechs Bagatellen op. 9 (1913) di Webern, Daphnis et Chloè (1912) di Ravel. Questa serie di lavori ha stabilito un nuovo canone estetico, sovvertendo i principi che avevano retto fino allora il linguaggio musicale. Il nuovo secolo aveva bisogno di esprimere una visione diversa dell'armonia, del ritmo, della melodia, della forma.
La rivoluzione musicale appariva agli occhi degli accademici come l'assalto di un'orda di barbari. Stravinskij era un compositore irregolare. Rimskij-Korsakov lo aveva accettato come allievo, con il consiglio però di non iscriversi al Conservatorio di San Pietroburgo.
Il pittore Alexandre Benois lo ricordava così, all'epoca dei Ballets Russes: "Al contrario della maggior parte dei musicisti, che in genere sono completamente indifferenti a tutto ciò che non rientra nella loro sfera, Stravinskij era profondamente interessato alla pittura, alla scultura, all'architettura. Malgrado non avesse una vera preparazione in questo campo, discutere con lui era sempre prezioso, perché "reagiva" a tutto ciò che costituiva la nostra ragione di vita. A quei tempi era un "allievo" incantevole e colmo di buona volontà. Aveva sete di chiarezza e aspirava senza tregua ad allargare le sue conoscenze".
Stravinskij, come Schönberg del resto, non si riteneva affatto un sovversivo. La forza barbarica del Sacre gli procurò fama di musicista anarchico, geniale e arrogante, ma la sua autentica dimensione spirituale era un'altra. "S'è fatto di me un rivoluzionario mio malgrado", si lamentava il compositore nella Poètique musicale. "Bacia la mano alle signore nel momento stesso in cui calpesta loro i piedi", disse in maniera piccante Debussy. I due musicisti si conobbero dopo la prima dell'Oiseau de feu, che suscitò in Debussy una "sympathie artistique". Stravinskij e Debussy, in un luminoso pomeriggio parigino del 1912, suonarono a quattro mani la riduzione per pianoforte del Sacre. La rapida evoluzione di Stravinskij tuttavia era solo la punta dell'iceberg. Il quinquennio 1909-1914 ha rappresentato una sorta di big bang della musica del Novecento: i 5 Pezzi per orchestra (1909) e Pierrot lunaire (1912) di Schönberg, Il castello del duca Barbablù (1911) di Bartók, gli Altenberg-Lieder (1911/12) di Berg, Jeux (1912/13) di Debussy, Sechs Bagatellen op. 9 (1913) di Webern, Daphnis et Chloè (1912) di Ravel. Questa serie di lavori ha stabilito un nuovo canone estetico, sovvertendo i principi che avevano retto fino allora il linguaggio musicale. Il nuovo secolo aveva bisogno di esprimere una visione diversa dell'armonia, del ritmo, della melodia, della forma.
La rivoluzione musicale appariva agli occhi degli accademici come l'assalto di un'orda di barbari. Stravinskij era un compositore irregolare. Rimskij-Korsakov lo aveva accettato come allievo, con il consiglio però di non iscriversi al Conservatorio di San Pietroburgo.
Il pittore Alexandre Benois lo ricordava così, all'epoca dei Ballets Russes: "Al contrario della maggior parte dei musicisti, che in genere sono completamente indifferenti a tutto ciò che non rientra nella loro sfera, Stravinskij era profondamente interessato alla pittura, alla scultura, all'architettura. Malgrado non avesse una vera preparazione in questo campo, discutere con lui era sempre prezioso, perché "reagiva" a tutto ciò che costituiva la nostra ragione di vita. A quei tempi era un "allievo" incantevole e colmo di buona volontà. Aveva sete di chiarezza e aspirava senza tregua ad allargare le sue conoscenze".
Eravamo muti, sgomenti come dopo un uragano sopraggiunto da epoche remote a sconvolgere alle radici la nostra vita
ricordava alcuni anni dopo il padrone di casa, Louis Laloy.
Oreste Bossini (dagli Archivi Rai)
I biglietti del concerto dell'8 e 9 maggio sono disponibili anche online
Oreste Bossini (dagli Archivi Rai)
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