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Palazzo Spinola Gambaro

Uno dei primi palazzi di Strada Nuova

Quando nel 1558 vennero messi all’asta i terreni per l’edificazione dei dodici palazzi in Strada Nuova, la famiglia degli Spinola fu una delle più interessate ad accaparrarsi i quattro lotti migliori, per edificare uno dei primi palazzi sorti nell'importante asse viario di Genova

Tuttavia, Pantaleo Spinola morì all’inizio del 1563 senza mai abitare il palazzo che, dal Cinquecento al Novecento, passò attraverso diverse proprietà. Dapprima, nei diversi rami dell'originaria famiglia Spinola, poi passò agli Arquata sino alla fine del Settecento, poi ai Cambiaso, ai Centurione e infine, nel 1844, ai Gambaro. 
Nel 1923, Palazzo Spinola Gambaro divenne sede del Banco di Chiavari, che modificò in parte gli spazi per esigenze di ufficio.



I lavori di costruzione del palazzo di Pantaleo Spinola si protrassero per più di cinque anni su progetto dell’architetto Bernardo Spazio, già collaboratore del celebre Galeazzo Alessi nell’imponente cantiere della Basilica di Santa Maria Assunta in Carignano (La Basilica di Nostra Signora Assunta in Carignano), e dal 1564, con successive finiture di Pietro Orsolino.



L’esterno presenta una sobria facciata con un unico apparato decorativo costituito da due statue marmoree sopra il portale, allegorie di Prudenza e Vigilanza. 
La struttura architettonica del palazzo è piuttosto tradizionale; la pianta quadrata caratterizza il salone principale al centro del primo piano nobile da cui si accede ai salotti laterali. 
Il palazzo, inserito nei rilievi del Rubens per il suo testo Palazzi di Genova (1622), è presente in tutte e cinque le liste ufficiali dei Rolli.  



Gli interni di Palazzo Spinola Gambaro sono oggi testimonianza  del più maestoso Barocco genovese, tuttavia, in origine, il palazzo era stato affrescato anche nel Cinquecento con decorazioni di cui restano solamente alcuni affreschi nei quattro salotti laterali del primo piano nobile, commissionati dal successore di Pantaleo, Ettore Spinola. 

Mentre due di questi affreschi sono probabilmente opera dei Semino, gli altri di qualità piuttosto mediocre, appartengono alla mano di pittori vicini alla famiglia Calvi 

I primi affreschi barocchi del palazzo, realizzati intorno al 1630 in tre salotti del pian terreno, sono opera di Giovanni Carlone. 
Il meglio conservato è il Giudizio di Salomone, dove è evidente l’eleganza cromatica utilizzata dal pittore per ricercare le corrette volumetrie delle figure ravvivate da una luce brillante.
I salotti contigui, con la Fine di Assalonne e la storia di Susanna e i Vecchioni, sono invece stati parzialmente rovinati dal distacco della pittura dalla parete per favorire l’ampliamento di alcuni vani superiori. Essi testimoniano come il maggiore dei fratelli Carlone abbia operato nel palazzo in una fase molto avanzata della sua carriera. 
La scelta iconografica di questo ciclo, tratto da tematiche bibliche, rimanda alla corretta amministrazione della giustizia, in allusione a quanto stava allora accadendo nella Repubblica genovese dilaniata da violente repressioni successive a congiure politiche.

Domenico Piola e Paolo Brozzi, L'offerta a Giove delle chiavi del tempio di Giano

Cuore della decorazione pittorica barocca del palazzo, il salone principale del piano nobile dove Domenico Piola, nei primi anni Settanta del Seicento, realizza lo straordinario affresco dell’Allegoria della Pace
È questa una delle opere della maturità dell’artista, realizzata con il quadraturista bolognese Paolo Brozzi. 
Nel riquadro centrale, Giove attorniato dagli dèi fra le nubi dell’Olimpo, riceve da Giano le chiavi del Tempio della Guerra. Le figure del Piola si adattano alle quadrature prospettiche del Brozzi, create per ampliare lo spazio attraverso una finta architettura che scandisce i piani della volta. 
L’insieme, produce la sensazione di un salone vertiginoso, completato dalla decorazione in gusto neoclassico, di origine ottocentesca, delle pareti laterali.



Il grande affresco, fu commissionato al Piola da Alessandro Spinola, doge della Repubblica di Genova dal 1654 al '56, che con l’inserimento di questa allegoria voleva sottolineare il suo buon governo al servizio dello stato. 
Il salone principale, non è altro che la conclusione di un più ampio racconto riferito alla Guerra di Troia e anticipato nel palazzo dal grandioso gruppo scultoreo del Ratto di Elena, realizzato dal marsigliese Pierre Puget (L’Immacolata di Pierre Puget) e originariamente, collocata nel ninfeo della terrazza da cui si accedeva al salone. La statua, oggi al Museo di Sant’Agostino di Genova, rappresentò un vero e proprio modello per lo sviluppo della scultura barocca genovese, come dimostra il settecentesco Ratto di Proserpina di Francesco Maria Schiaffino, conservato nella Galleria degli Specchi di Palazzo Reale.



Dal salone, si accede a un altro salotto affrescato da Domenico Piola con l’Oracolo della Sibilla che indica ad Augusto la Vergine Maria e ai lati e negli angoli, le allegorie delle quattro Virtù Cardinali e le Stagioni. La scelta del soggetto indica la volontà di Alessandro Spinola di essere individuato come portatore di una sorta di Pax romana in occasione del suo dogato, dove oltre al buon governo e all’ordine pubblico, furono valorizzate anche le arti.
La decorazione pittorica del palazzo si conclude con i due salotti affrescati dal fratello minore di Giovanni Carlone, Giovanni Battista. 

Nel primo, Coriolano in campo alla presenza della sua famiglia e nei medaglioni laterali, l’Ambasceria fraudolenta di Tarquinio il Superbo, Lucrezia violata da Sesto Tarquinio, il Suicidio di Lucrezia e Pero che allatta il vecchio padre Cimone. Nel secondo, più piccolo, il Ratto delle Sabine circondato da figure allegoriche femminili

Non sono certamente gli affreschi di questi due salotti i capolavori di Giovanni Battista Carlone che operò nelle ben più importanti decorazioni delle chiese genovesi del Gesù e dell’Annunziata del Vastato (La chiesa della Compagnia di Gesù; La Basilica della Santissima Annunziata del Vastato).


Ideazione e contenuti, Giacomo Montanari (storico dell'arte)
Cura dei testi Pietro Toso
Presentazione video Marta Magi
Riprese, regia, montaggio e fotografie Lorenzo Zeppa