La Chiesa della Compagnia di Gesù

I due secoli dei genovesi

In piazza Matteotti, a pochi passi dalla Cattedrale di San Lorenzo e da Palazzo Ducale, dietro piazza De Ferrari, si trova incastonata nel cuore di Genova la più importante fondazione religiosa barocca della città, una chiesa che conserva ancora oggi le opere di artisti che hanno cambiato la storia della pittura Europea del Seicento: la Chiesa della Compagnia di Gesù

La Chiesa della Compagnia di Gesù venne progettata nel 1589, dall’architetto gesuita Giuseppe Valeriano,  una delle archistar del suo tempo.
Nel progetto dei gesuiti, insediatisi a Genova grazie all’impegno in prima persona di Diego Lainez (Generale dell’Ordine, dopo lo stesso Sant’Ignazio), si doveva rinnovare un luogo di culto antichissimo, fondato nel VI secolo e dedicato a Sant’Ambrogio sin dai tempi in cui la Diocesi genovese dipendeva da quella di Milano. Il rinnovamento fu possibile grazie all’enorme investimento da parte di padre Marcello Pallavicino, la famiglia del quale rimase sempre legata a doppio filo a questo luogo straordinario, così come i Gesuiti, che lo officiano ancora oggi. Soltanto nell’Ottocento, per un breve periodo, la chiesa assunse la parrocchialità dell’ex convento di Sant’Andrea: un nome, infatti, che ancora è ricordato nelle sue titolazioni.

Mi trovo ora in una bella città, una vera bella città: Genova. Si cammina sul marmo, tutto è di marmo
Gustave Flaubert, 1845 

Probabilmente sono questi i luoghi a cui si riferiva Flaubert. La ricchezza dei marmi policromi che trionfano in tutta la chiesa, dal pavimento, alle colonne, alle cappelle, rendono lo spazio un caleidoscopio di colori di una preziosità da mozzare il fiato. 


Interno della Chiesa della Compagnia di Gesù, Genova

Alla ricchezza delle pietre, si aggiunge quella degli affreschi: i fratelli Giovanni e Giovanni Battista Carlone dipingono sulle volte, nel corso del Seicento, diverse scene della vita di Cristo e della Vergine. Nella meravigliosa cupola interamente affrescata, al centro delle gerarchie celesti trionfa il Nome di Gesù, raffigurato attraverso il trigramma JHS, simbolo dei Gesuiti.

Il grande progetto decorativo della chiesa si concretizza pienamente attraverso le committenze che le grandi famiglie aristocratiche mettono in atto nelle cappelle laterali 

L’arcivescovo Stefano Durazzo fa arrivare da Roma una delle tele più mirabolanti dipinte da Guido Reni, dedicata all’Assunzione della Vergine: Maria è avviluppata in una veste bianchissima, circondata da una luce divina e dorata, mentre i monumentali apostoli ne contemplano straniti il sepolcro vuoto, in un’esplosione di colori di vesti, d’ombre e luci. 
Poco distante, i Raggio commissionano la grande pala della Crocefissione al francese Simon Vouet, che nel 1620 si trova a Genova ed è nel pieno della sua fase più caravaggesca. La grande croce posta di sbieco, il gesto largo di San Giovanni, i forti accenti chiaroscurali trascinano l’osservatore raccolto in preghiera dentro il quadro, sul monte Calvario, ai piedi del Crocifisso. 

Eppure, anche se le magnifiche opere qui conservate, potrebbero stare al posto d’onore in qualsiasi altra chiesa della città, al Gesù sono oscurate da due dipinti del più grande pittore fiammingo del Seicento: Pietro Paolo Rubens 

Rubens arriva a Genova una prima volta nel 1604, di ritorno da un viaggio diplomatico in Spagna, per conto di Vincenzo Gonzaga duca di Mantova. È probabilmente in quell’occasione che l’artista riceve da Marcello Pallavicino in persona, il fabbriciere della chiesa, la commissione per la grande tela della Circoncisione. Nel 1605, il dipinto è collocato sull’altare maggiore; le novità del linguaggio del fiammingo erano tali che, da quel momento, l’arte genovese non fu più la stessa.


La Circoncisione, Pieter Paul Rubens (1577-1640), 1605, olio su tela, Chiesa del Gesù, Genova 

La Circoncisione di Rubens è una cesura, un taglio netto con il passato, l’ingresso in una stagione completamente nuova: quella del Barocco. 
Ma non è finita qui. Rubens lascia l’Italia nel 1608, per non farvi più ritorno, diversa sorte ebbero invece le sue opere. Il fratello di Marcello, Nicolò Pallavicino, aveva stretto una importante amicizia con il pittore fiammingo, tanto che questi lo vorrà come padrino di battesimo del figlio chiamato, significativamente, Nicolas. Seguendo le sue volontà testamentarie, nel 1620 viene richiesta a Rubens una grande tela, da porre sull’altare dedicato al fondatore dei Gesuiti: la pala dei Miracoli del Beato Ignazio di Loyola.


Miracoli di Sant'Ignazio Loyola, Pieter Paul Rubens, 1619-20, olio su tela, Chiesa del Gesù, Genova 

Quando il dipinto arriva a Genova, Ignazio non è ancora santo, ma beato. Eppure, Rubens e i Gesuiti attraverso il suo pennello, stanno già codificandone con forza l’iconografia del futuro santo in tutta Europa. 
Rubens raffigura Ignazio in veste sacerdotale, affiancato dai suoi più fidati collaboratori, Francesco Saverio e Luigi Gonzaga. Con lo sguardo rivolto al cielo, il gesuita sembra chiedere l’intercessione divina per porre fine alla sofferenza che occupa tutta la parte bassa del dipinto. 

Tra stoffe meravigliose, così belle da aver l’illusione di poterle toccare, sul bordo estremo della tela, giace il corpo livido e inerme di un bimbo. Solo le preghiere del gesuita potranno restituirlo alla vita e all’affetto della madre che gli si dispera accanto. Sulla sinistra una donna posseduta dal maligno si agita e grida in direzione d’Ignazio, costituendo l’apice dinamico e tangibile della drammaticità della scena

Ma la vicenda storica e artistica della Chiesa del Gesù non termina con la grande fase decorativa del primo Seicento. Alla fine del secolo infatti, tutta Genova visse un momento davvero drammatico. Dal 17 al 25 maggio 1684, la flotta del Re Sole riversò oltre seimila bombe sulla città, spingendo Filippo Casoni a scrivere: 

Pareva ormai che la città si convertisse in un totale incendio, ma che l'Inferno stesso vi avesse aggiunto parte delle sue fiamme

Alcune cappelle furono integralmente distrutte, la ricca biblioteca della Casa Professa arse tra le fiamme, molti degli affreschi dei Carlone rovinarono al suolo. Eppure, pochi anni dopo, quella stessa tragedia diede modo a Lorenzo De Ferrari, uno dei più brillanti pittori del primo Settecento attivi a Genova, di realizzare le splendide cupolette delle Cappelle di San Stanislao, San Giovanni Battista e San Francesco Borgia. Qui, giocando con gli aggetti in stucco e lastre d’ardesia murate nelle pareti, Lorenzo proietta angeli e santi nello spazio tridimensionale, rompendo definitivamente il muro tra la realtà e l’illusione.

La Chiesa del Gesù di Genova è anche un luogo quotidiano, amato dai cittadini che spesso entrano per un pensiero, uno sguardo o una preghiera, anche nel frenetico andirivieni delle giornate lavorative. Un luogo familiare per i genovesi, ma sorprendente per i visitatori che, attraverso i suoi marmi, sculture e dipinti possono affrontare un viaggio nell’arte lungo oltre due secoli, un'epoca che ha fatto del Gesù uno dei luoghi simbolo dell’arte italiana ed Europea. 

Ideazione, contenuti e presentazione video Giacomo Montanari (storico dell'arte)
Cura dei testi Pietro Toso
Riprese, regia e montaggio Lorenzo Zeppa
Fotografie Fabio Bussalino