Orgogliosi, criminali, artisti falliti

Orgogliosi, criminali, artisti falliti

I falsari in un saggio di Noah Charney

Orgogliosi, criminali, artisti falliti
Nel 2010 la National Gallery di Londra inaugurava la mostra Close Examination: Fakes, Mistakes and Discoveries, mentre  il Victoria and Albert Museum ha ospitato per lungo tempo una galleria di quadri contraffatti, allo scopo di celebrare imitazioni diventate in alcuni casi persino più famose degli originali. Sono alcune delle iniziative di istituzioni autorevoli che hanno contribuito a portare alla ribalta il fenomeno della diffusione di prodotti contraffatti, fortemente radicato nel sistema dell'arte perché la storia dei falsi inizia nel momento stesso in cui nasce il commercio delle opere d'arte. Noah Charney, fondatore e presidente di ARCA, associazione per la ricerca sui crimini contro l'arte, nel saggio L'arte del falso (Johan & Levi, 2020) ripercorre i casi più clamorosi della storia. 



Nell'antichità spacciare un falso per un'opera autentica era molto più facile e  anche il confine tra lecito e illecito, originale e copia molto più sfumato. Anche geni come Michelangelo e Luca Giordano sono stati autori di falsi. Come dobbiamo valutare questi casi?

È importante tenere presente che l'idea di “valore artistico” si basa sulla percezione di tre concetti: autenticità, rarità e desiderio. Se il pubblico, in particolare i collezionisti d'arte, ritiene che un'opera sia autentica (ovvero se è stata realizzata dall'artista che credono), rara (nella maggior parte dei casi stiamo parlando di pezzi unici) e desiderata (che almeno due potenziali acquirenti vogliano l'opera e siano disposti a competere per possederla), allora ecco che ha un valore. Ma è tutta questione di percezione. La realtà non è veramente rilevante se il mondo crede che il lavoro in questione sia una determinata cosa. Se i potenziali acquirenti credono che una casa sia fatta di mattoni, ma in realtà è realizzata in legno dipinto per simulare il mattone, allora il suo valore è qualsiasi cosa credano i potenziali acquirenti. La tecnologia moderna, in particolare Internet, ha reso più difficile ingannare chi desidera fare ricerche. Puoi, in pochi minuti, accedere a molte informazioni che possono aiutarti a fare acquisti secondo coscienza e per il prezzo giusto. Ma a dirla tutta, poche persone fanno una ricerca appropriata. Nel mondo dell'arte esiste da tempo la tradizione di affidarsi alla parola degli esperti (alcuni dei quali sono per bene, altri vengono definiti “per bene”, ma in realtà non sono proprio così). Gli esperti, che potrebbero poi in realtà non avere conoscenze così esaustive, o che potrebbero avere ulteriori interessi, sono stati sovrastimati e lo sono ancora. Troppo spesso gli acquirenti decidono semplicemente di credere a ciò che dice l'esperto. C'è una psicologia complicata e oscura nel collezionare arte, ed è ancora oggi così.
Hai menzionato maestri storici che erano anche “falsari”, tra cui Michelangelo e Luca Giordano. Michelangelo guadagnò notoriamente di più realizzando statue "antiche" romane, quando era un adolescente sconosciuto, di quanto potesse fare con le sue sculture. Prima che la sua Pietà lo rendesse famoso. Luca Giordano era un vero e proprio burlone che giocava con un suo mecenate. Prima del XX secolo c'erano meno tecniche disponibili per determinare l'autenticità. Ora utilizziamo una combinazione di connoisseurship (opinioni di esperti), ricerche sulla provenienza (esaminando la storia documentata di un’opera) e test forensi. All'epoca era disponibile solo la connoisseurship, quindi gli esperti la facevano da padrone. Oggi dovrebbe essere diverso, ma l'ironia è che persiste una dipendenza eccessiva dai cosiddetti esperti, solo per abitudine.

Questa indagine è anche un tentativo di comprendere e classificare le motivazioni che attivano molti crimini ingegnosi. I falsari agiscono non soltanto per speculazione. Talvolta un motore potente può essere la vendetta. Come per Han van Meegeren, il grande falsario di Veermer  o Erich Hebborn “il più influente di tutti i falsari moderni”...

Per questo libro ho esaminato circa 120 falsari e ho incluso circa 60 casi di studio. Una delle cose più intriganti è stato scoprire che la stragrande maggioranza dei falsari è ricorsa alla falsificazione per la prima volta non per soldi ma per vendetta. Hanno un profilo psicologico davvero ben preciso (e anche un profilo fisico, in quanto la maggior parte erano uomini bianchi di mezza età che si percepivano come artisti falliti e che avevano relazioni non alla pari con le donne della loro vita). Una contraffazione è il modo ideale per attuare una vendetta passiva-aggressiva contro il mondo dell'arte nel suo insieme. Se sei convinto che il mondo dell'arte, collettivamente, non abbia supportato la tua personale arte, ecco che la contraffazione offre la possibilità di una vendetta perché dimostra contemporaneamente che: 
a) i cosiddetti esperti sono degli idioti, perché non riconoscono la differenza tra il tuo lavoro e quello del grande artista che hai contraffatto. 
b) che devi essere un artista grande almeno quanto colui che stai falsificando.
Propongo molti di questi esempi in questo libro, ma di recente ho preparato un video su uno di essi.

Ci sono poi due poli estremi: gli autentici criminali e i falsari dal cuore d'oro. Qual è il loro profilo?

Devo ammettere che mi divertono le storie di falsari e i falsari stessi. Con poche eccezioni, costoro non sono temibili criminali. Mi piace dire che siano più burloni che gangster. Sono affascinanti, spiritosi, abili e relativamente innocui, specialmente perché molto di rado sono coinvolti nella criminalità organizzata o in qualsiasi crimine diverso dalle frodi d'arte. Il furto di opere d’arte e il saccheggio delle antichità sono decisamente più gravi da un punto di vista criminologico, per via della notevole influenza della criminalità organizzata e perfino dei gruppi terroristici. Non è così con la maggior parte dei falsi. I falsari sono più simili a burloni o maghi, ed è più difficile simpatizzare con le loro vittime dato che tendono a essere considerati come una élite: individui o istituzioni facoltose. Il grande pubblico tifa davvero per i falsari. Alcuni sono criminali veri e propri, come John Drewe che ha usato i falsi di John Myatt per trarne profitto. Del resto John Myatt è un ragazzo affascinante e affabile che ha insegnato ai pittori dilettanti l’arte del falsificare in uno show televisivo su Sky Arts, dopo essere stato arrestato e avere scontato la pena. Il mio libro è pieno zeppo di storie divertenti, come quella del falsario che si autodenunciò per dimostrare di essere proprio lui il falsario quando nessuno gli credeva. La maggior parte dei falsari è il genere di persone con cui sarei felice di uscire per una birra. Se da un lato probabilmente non saranno dei cuori d'oro, dall’altro sono affascinanti, intriganti e non temibili.



Un elemento chiave per il successo di un falso sul mercato è quello della provenienza. I falsari intervengono creando garanzie di autenticità che inquinano il quadro storico. Quali sono i casi più inquietanti sotto questo aspetto?

La chiave teorica che si estrapola dal mio libro è il successo di quella che chiamo Provenance Trap (la trappola della provenienza), che ha cinque varianti. In ognuna, i falsari sfruttano l'eccessiva dipendenza dalla provenienza (dell’opera) utilizzata dalla seconda guerra mondiale per autenticare gli oggetti. Come ho accennato in precedenza, storicamente l'opinione degli esperti è stata sopravvalutata. Lo è ancora, ma dopo la seconda guerra mondiale, l’interesse per la proprietà degli oggetti sottratti dai nazisti fece virare pesantemente l'attenzione sulla ricerca della provenienza. Ho lavorato da Christie’s, per esempio, e se la provenienza di un oggetto appariva buona, allora si prestava meno attenzione all'oggetto stesso, che spesso veniva felicemente aggiudicato. Questo offre un'opportunità ai criminali, perché è molto più facile falsificare la provenienza di un’opera (in genere documenti storici oppure copie o fotografie di documenti storici) rispetto all'opera stessa. Ci sono molte varianti e a ognuna di esse nel mio libro è associato un caso di studio. La stragrande maggioranza dei falsari di successo ha utilizzato una versione della trappola della provenienza. In pratica, se ne evince che dovrebbero essere messi in gioco la ricerca sulla provenienza e la scienza forense. E che nessuna opera d'arte che valga, poniamo, più di 100.000 dollari dovrebbe essere venduta senza un rapporto forense recente, che non faccia scattare eventuali allarmi sulla sua autenticità. La provenienza stessa deve essere controllata a prescindere dall'oggetto, per assicurarsi che sia autentica e che si riferisca effettivamente all'opera in questione. L'opinione degli esperti poi avrà sempre peso sull'autenticazione, ma dovrebbe essere controbilanciata da questi altri elementi. Se così fosse, la falsificazione di oggetti di alto livello cesserebbe quasi del tutto.

Altro aspetto interessante, che ci porta dentro al meccanismo della creazione del falso è quello della “bomba ad orologeria”, un dettaglio inserito per innescare dubbi sull'autenticità. Puoi ricordare qualche caso significativo e spiegare qual è lo scopo di questa “dichiarazione” di inautenticità da parte del falsario?  

Questa è una scoperta psicologica affascinante. Il termine fu coniato per la prima volta dall'adorabile falsario britannico Tom Keating (che assomigliava a Babbo Natale). Nascondeva intenzionalmente alcuni anacronismi nei suoi dipinti falsificati per due ragioni: in modo che gli esperti che li avessero autenticati apparissero poi ancora più idioti per il fatto di aver trascurato qualcosa che, a posteriori, sarebbe apparso lampante, e perché così poteva "nascondersi" dietro l'idea di non aver davvero voluto ingannare nessuno, dato che aveva incluso qualcosa che non riteneva potesse ingannare qualcuno. Un falsario nascose un dipinto di un tacchino nei suoi affreschi "medievali" falsificati. I tacchini sono originari delle Americhe, perciò non c'erano tacchini nell'Europa medievale. Lo nascose lì in modo da poter dimostrare a tutti che gli affreschi che si pensava fossero medievali erano in realtà opera sua! Nessuno se ne accorse finché non fu lui a indicarlo. Un numero significativo di falsari si è costituito?: la loro vendetta non è completa fintanto che sono i soli a sapere che i loro falsi sono stati presi per originali... Fino a quando non diventa pubblica resta solo una vittoria privata. Eric Hebborn (il mio falsario "preferito" nel libro) era sconosciuto fino a quando non ha pubblicato un libro, The Art Forger’s Handbook, che spiega il suo lavoro e la sua tecnica. In quel momento ha trovato l'autorealizzazione. Le punizioni per i falsari tendono ad essere molto lievi e dunque, anche se vanno in prigione, ne escono come eroi popolari cui vegono offerte una carriera, conferenze o una paga per realizzare opere nello stile di altri artisti. 
 
Alterare un oggetto autentico per aumentare il valore è più facile che creare un'opera ex novo. Nel Settecento William Sykes creò un falso van Eyck da un dipinto su tavola del Quattrocento. Eppure non mancano le sfide, anche recenti. Quali sono i grandi capolavori imitati e immessi nel mercato?  

Ci sono molte opere che sono state falsificate, copiate o coinvolte in sospetti di falso. L'artista più falsificato dell'era pre-moderna era Albrecht Durer. Quello dell'era moderna è Picasso. La pala d'altare di Gand di Jan van Eyck vanta molti racconti bizzarri nel suo passato, ma nel XIX secolo un commerciante di Bruxelles vendette una copia (non un falso) dell'intera pala d'altare che era stata realizzata nel XVI secolo da Michel Coxcie e affermò che era l'originale rubato, che aveva cambiato mano durante le guerre napoleoniche in un’epoca in cui vendere opere rubate non era necessariamente problematico. Han van Meegeren ha inventato un periodo dell'opera di Vermeer che non ha nulla a che fare con il lavoro di Vermeer, eppure ha ingannato perfino i maggiori esperti della sua epoca. Un celebre processo ad Amsterdam ha visto coinvolti falsi Van Gogh: in quel contesto i due principali esperti di Van Gogh non riuscivano proprio a mettersi d'accordo su quali opere fossero autentiche, quindi per risolvere il dissidio, hanno chiamato un chimico, Martin de Wild, che è stato il primo a usare l'analisi forense per risolvere un caso artistico. Egli rinvenì resina e polvere di piombo mescolate alle pitture ad olio dei falsi Van Gogh (che avrebbero accelerato il processo di essiccazione), elementi che non apparivano nelle pitture originali. William Sykes non era un artista, ma acquistò un autentico dipinto fiammingo del XV secolo e aggiunse un'iscrizione sul retro che suggeriva che fosse stato dipinto da Jan van Eyck, di proprietà di Re Enrico V d'Inghilterra e che mostrava San Tommaso Becket - in tal modo aumentando considerevolmente il suo valore. 



Un caso ambiguo di “frode” riguarda gli esemplari dell'esercito di terracotta inviati in mostra dalla Cina in Europa nel 2007. Non originali ma copie. In Oriente la visione dell'antico e dell'autentico è completamente diversa da quella occidentale? 

C’è un intero capitolo sulla Cina perché questo Paese va considerato in un contesto diverso dal resto del mondo, il concetto europeo / americano di frode. In Cina, storicamente e oggi, la cifra di un grande artista è creare qualcosa che sia indistinguibile dall'arte delle epoche passate. Il diritto di proprietà intellettuale è molto diverso lì. Copiare e piratare è normale. Ci sono intere città, con oltre 1 milione di abitanti, dedite a realizzare imitazioni di opere d'arte storiche (Dafen è popolata da copisti di dipinti e Jingdezhen di sculture). È il selvaggio Oriente (Wild East).

Molte analisi scientifiche, o procedimenti altamente tecnologici di autenticazione, come la termoluminescenza, non sono più a prova di truffa perché i falsari riescono a ingannare i rilevatori e a costruire prove di autenticità… Quali sono i metodi di autenticazione con minor rischio di essere manipolati?  

Mi divertono le indagini hi-tech e l'approccio CSI all'arte, ma non sono utili a garantire la paternità di un’opera. Servono a dire approssimativamente quando è stato prodotto qualcosa, e servono a trovare "bandiere rosse", in particolare anacronismi nei materiali che suggeriscono qualcosa di problematico. Wolfgang Beltracchi fu catturato quando i conservatori trovarono vernice bianca di titanio in un dipinto che aveva falsificato in un'epoca prima che il bianco di titanio fosse in uso. La Sindone di Torino è stata datata al 13° secolo con l’esame al carbonio da quattro laboratori indipendenti: è un dipinto medievale destinato a sembrare una reliquia storica. Anche nel XIV secolo un vescovo dichiarò che si trattava di un falso. Nessuno di questi fatti impedisce alle persone di visitarlo in pellegrinaggio. Ed è stato presumibilmente trovato e riportato in Terra Santa da un cavaliere francese chiamato Geoffroy de Charney, quindi forse siamo imparentati? 

La tecnologia digitale come cambia gli scenari della contraffazione e dell'autenticazione?

Bene, ha reso più facile per chiunque educare se stessi all'arte e al suo valore. Ma, semplicemente, nella pratica non è molto utilizzata a tale scopo. Lo strano organismo del commercio dell'arte è tale che le persone fanno ancora affidamento su esperti e si sentono parte di un club privato di collezionisti d'arte e quindi non vogliono essere troppo esigenti e agitare le acque. Quindi le abitudini secolari rimangono e la tecnologia, pur rendendo potenzialmente più facile il non essere ingannati dai falsari, in pratica non cambia molto!


Noah Charney, L'arte del falso, Johan & Levi, 2020

Foto in copertina: Han van Meegeren mentre dipinge Cristo tra i dottori da Vermeer nel 1945. © Ullsteinbild/Topfoto.
 
Foto nell'articolo:

L'autore del saggio Noah Charney, foto Urska Charney

John Myatt, alla maniera di Alberto Giacometti, Portrait of Samuel Beckett, 1961, datato 1961. Olio su tela. Uno dei “falsi autentici” dipinti da Myatt alla maniera di un altro artista, ma venduti con il suo nome. © 2014 Washington Green Fine Art Publishing Company Ltd.

Anonimo, Ritratto di Vincent van Gogh (dettaglio), 1925-1928. Olio su tela, 59,1 × 47,5 cm. Chester Dale Collection, National Gallery of Art, Washington. © Courtesy National Gallery of Art, Washington.