Claudio Gobbi. An Atlas of Persistence

L'Europa oltre i suoi confini in mostra presso la Rocca Roveresca di Senigallia

Claudio Gobbi. An Atlas of Persistence a cura di Francesca Fabiani presenta due progetti fotografici che affrontano il tema attualissimo dell'identità culturale europea attraverso le forme e i segni da essa generati sul paesaggio e sull'architettura, evidenziando i tratti permanenti rispetto a ciò che muta: la persistenza, appunto. La prima ricerca indaga l'iconografia degli interni dei teatri del '900 lungo tutto l'arco europeo, il secondo lavoro sviluppa una riflessione sull'immutabilità tipologica delle chiese armene disseminate anche fuori dai loro territori storici.
La mostra, allestita presso la Rocca Roveresca di Senigallia dal 14 aprile al 28 agosto 2022, rappresenta il secondo appuntamento di una programmazione culturale nata dalla collaborazione tra la Direzione Musei Marche e l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) con lo scopo di proporre al pubblico di Senigallia una serie di eventi dedicati alla fotografia. Un'iniziativa ideata nell'ambito delle diverse attività dedicate al contemporaneo dall'ICCD, che promuove un ciclo di esposizioni in contesti museali diversi sotto la sigla ICCD Off side.

Grazie alla formula “ICCD OFF SITE”, inaugurata proprio alla Rocca Roveresca nel 2021, l’Istituto esce dai confini fisici della sede di Roma per presentare i propri progetti di ricerca che hanno per oggetto la fotografia in diversi spazi espositivi.
Carlo Birozzi, Direttore ICCD


Uno dei temi centrali del mio lavoro è la ricerca di caratteristiche ricorrenti che possono essere considerate come elementi che definiscono un certo tipo di cultura. Nei teatri, nei giardini giapponesi o nelle chiese armene lo scopo principale è trovare un’immagine che rappresenti l’evidenza di una specifica comunità, un simbolo di appartenenza o il segno di un confine culturale.
Claudio Gobbi, Fotografo

La serie sui teatri interessa oltre 25 Paesi – dal Portogallo alla Russia, dalla Francia alla Turchia – e traccia una possibile geografia del continente, un percorso culturale attraverso lo spazio e il tempo, da cui questi luoghi emergono come esempi di memoria condivisa, forme di perpetuazione di un’identità collettiva che sembra superata ma che ancora resiste.
In dialogo con il lavoro sui teatri, Armenie ville restituisce una sorta di enciclopedia visuale, un album del sempre–uguale che registra l’archetipo delle chiese armene, la sua disseminazione al di là delle frontiere caucasiche e la sua presenza nei territori della modernità, come in Francia, dove vive una delle più vaste comunità armene del mondo.
Le 64 fotografie – selezione di un più vasto progetto – sono di natura e provenienza diversa: alcune sono state realizzate dallo stesso Gobbi, altre sono immagini reperite negli archivi di vari Paesi (dall’Europa dell’Est alla Russia, dal Medio Oriente al Caucaso), altre ancora trovate su internet o commissionate ad autori diversi. Evidenziando un modello architettonico rimasto sostanzialmente invariato per più di 1500 anni, il lavoro analizza i concetti di tempo, migrazione, memoria e identità, ponendo al tempo stesso questioni interne al linguaggio fotografico come l’autorialità, la serialità, la rappresentazione e la materialità della fotografia, temi a cui rimanda l’intenzionale ed equivalente compresenza di fotografie d’epoca, scatti d’autore, foto anonime e cartoline.

La natura enciclopedica della ricerca fotografica di Gobbi è reiterata dalle modalità espositive: in entrambi i casi gli “oggetti” di studio sono presentati come sequenze, attraverso serie omogenee quasi ossessive. Questo approccio tassonomico e catalografico è per Gobbi un’attitudine necessaria: la serialità e la moltitudine, la disseminazione e la permanenza sono fattori essenziali attraverso cui l’autore ci induce a riflettere sui concetti di identità culturale e di appartenenza e a immaginare nuove geografie e nuovi confini in grado di definirli.
Francesca Fabiani, Curatrice della mostra




Un nucleo di opere esposte in mostra entrerà a far parte delle collezioni ICCD in coerenza con la sua mission di documentazione del patrimonio culturale e a testimonianza di quanto oggi la fotografia possa essere uno strumento di ricerca. 

CLAUDIO GOBBI
Dopo gli studi in Scienze Politiche a Roma, Claudio Gobbi (Ancona, 1971) studia fotografia all’Istituto Bauer di Milano specializzandosi sotto la guida di Gabriele Basilico. Quando inizia a fotografare Milano, nei primi anni Duemila, la sua scelta è già compiuta: «Piuttosto che focalizzare la mia attenzione sulle dinamiche del cambiamento, ho deciso di indirizzare il mio sguardo sulla persistenza del passato recente. Ho così iniziato a ritrarre gli interni delle associazioni culturali, degli oratori… quelle architetture, gli arredi e i colori mi apparivano come la memoria di una naïveté, un senso di comunità che sarebbe presto scomparso».
Gli aspetti culturali e politici del paesaggio e dell’architettura rappresentano gli assi centrali della sua ricerca, a cui si affianca l’indagine sul linguaggio fotografico in sé, caratterizzata da una dichiarata discontinuità di visione in cui convivono immagini personali e immagini provenienti da varie fonti. I progetti di Claudio Gobbi – caratterizzati da un continuo work in progress – affrontano questioni di carattere al tempo stesso microscopico e macroscopico, come quelle relative all’identità culturale e ai confini, alla transnazionalità, all’incontro est–ovest, nonché al rapporto tra arte, architettura e antropologia culturale, affrontate a partire dal proprio contesto di appartenenza: l’Europa.
Diversi i riconoscimenti: nel 2003 ha vinto il Prix Mosaïque del Centre National de l’Audiovisuel, Luxembourg; nel 2007 è “artist in residence” presso la Cité Internationale des Arts di Parigi; nel 2009 è invitato alla Seconda Biennale di Arte Contemporanea di Salonicco e nel 2010 partecipa al progetto di committenza “MAXXI, cantiere d’autore”. Tra le mostre recenti la sua partecipazione al progetto del Goethe–Institut “The Fine Hands Show” per la Biennale di Krasnoyarsk in Russia e alla committenza “Universo Olivetti.Comunità come Utopia Concreta” del Ministero degli Esteri.
Fra le varie pubblicazioni si ricorda la monografia Arménie Ville pubblicato nel 2016 da Hatje Cantz. Vive a Berlino

FRANCESCA FABIANI 
Dal 1989 ha curato e/o organizzato oltre  85 mostre presso istituzioni pubbliche e private tra cui la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, il MAXXI e l’ICCD a Roma, la Biennale di Venezia, la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Cà Pesaro a Venezia, il Festival di Spoleto, il CIVA di Bruxelles, l’Istituto italiano di Cultura di Parigi, l’Accademia di Francia_Villa Medici, l’Istituto Moreira Salles di Sao Paulo e Rio de Janeiro in Brasile, il Centro Culturale Recoleta di Buenos Aires, il Centro RossPhoto a San Pietroburgo, il MMAM di Mosca. 
Ha curato pubblicazioni tra cui: C’è tempo per le nespole. Nuove narrazioni dalla Grande Guerra (2022); Paolo Ventura, La gamba ritrovata (2020); Mario Cresci, L’oro del tempo (2020); Nicola Nunziata, Album (2019); Luigi Ghirri. Pensare per immagini (2013); Olivo Barbieri. Immagini 1978-2014 (2014); Fotografia. MAXXI Architettura. Le collezioni (2010); Atlante italiano007: rischio paesaggio (2007). 
Insegna a Fondazione Modena Arti Visive. È membro del Consiglio Direttivo della SISF - Società Italiana per lo Studio della Fotografia.

Claudio Gobbi An Atlas of Persistence
Rocca Roveresca di Senigallia, fino al 28 agosto 2022