Sironi, artista moderno e arcaico

Intelligenze scomode del 900, seconda parte

Tratto dalla serie televisiva “Intelligenze scomode del Novecento” (di Giacomo Accame e Sergio Tau, 2000, Rai), in questa seconda parte del filmato dedicato alla biografia artistica di Mario Sironi, intervengono i critici d’arte Duccio Trombadori, Luigi Tallarico, Carlo Fabrizio Carli e il docente di storia del giornalismo Giuseppe Gubitosi.
Mario Sironi (1885-1961) nasce a Sassari, da una famiglia di architetti, ingegneri e musicisti, ed opera tutta la vita tra Roma e Milano, dove muore a settantasei anni (Il primo "ricordo postumo" di Mario Sironi). Nella Città Eterna, l’artista arriva subito dopo la nascita e negli anni di formazione presso istituti tecnici, legge Schopenhauer, Nietzsche, Leopardi, studia pianoforte e si dedica al disegno. Sironi, che dopo la prematura morte del padre iniziava a soffrire di depressione, coglieva la grandiosità dell’architettura antica di Roma fin da giovane, un tema che influenzerà profondamente la sua concezione estetica.
Pittore di statura europea, la grandezza di Sironi e del suo operato fu riconosciuta anche da Picasso che oltre a chiedere sue notizie, in più occasioni espresse giudizi e simpatia per quello che considerava “un vero artista”.

Avete un grande artista, forse il più grande del momento e non ve ne rendete conto
Pablo Picasso

Probabilmente, Picasso aveva pronunciato questo apprezzamento di Sironi nel 1937, in occasione dell'Esposizione Internazionale di Parigi dove lo spagnolo presentava “Guernica” e l’italiano il cartone preparatorio de “L'Italia corporativa”, futuro mosaico monumentale commissionato dal regime.
La parabola artistica di Sironi, iniziata con afflati Divisionisti e Simbolisti per poi affrancarsi accanto al Futurismo di Boccioni, Marinetti e Sant’Elia, dopo la Grande Guerra si avvia verso una pittura solida, arcaica, grandiosa e materica, filtrata nei toni cupi dall’Espressionismo nordico (Moravia e il mito arcaico di Sironi). 

Fin da subito, Sironi è più cubista che futurista: l’artista italiano, infatti, guarda a Cézanne

I piani che tagliano i suoi soggetti non sono dinamici, ma squarciano le immagini con la precisa volontà di superare il dilagante impressionismo francese che, da fine Ottocento, aveva influenzato anche l’arte italiana. 
La vera novità per Sironi, tornato a Roma dopo la Grande Guerra, era stata la rivista “Valori Plastici” fondata da Mario Broglio nel novembre del 1918, nelle cui pagine la scoperta della Metafisica di Giorgio de Chirico e Carlo Carrà, riuniti a Ferrara nel ‘16, costituiva per l’artista un vero e proprio trauma visivo.
Sironi riscopre così la grande tradizione figurativa rinascimentale, prima italiana, poi europea, guardata da ricercatore attento nel cogliere una nuova “sintesi”. Sarà questa, da ora in poi, la parola chiave sulla quale, con Margherita Sarfatti nel 1922, darà vita al gruppo di Novecento (Sarfatti, la musa del Duce). 
Nel 1919, Sironi si trasferisce definitivamente a Milano e malgrado non avesse una passione politica innata, aderisce con qualche amico futurista alle prime riunioni dei Fasci di Combattimento. Nel ‘21, collabora con scritti ed illustrazioni al quotidiano di Mussolini “Il Popolo d’Italia”, un impegno quasi quotidiano che apre al pittore un contatto diretto con il Duce, a cui l’artista rimarrà fedele tutta la vita. 

Nella capitale del Nord, torna al centro del suo racconto pittorico la presenza umana rafforzata dalla volontà di spersonalizzare e stilizzare la figura in una nuova fisicità plastica e definita 

La sua Metafisica, molto diversa da quella dei manichini inquietanti dei suoi colleghi, è fisica e profondamente umana: “L’allieva” (1924), “Gli architetti” o “Solitudine” (1925), sono figure scultoree, quasi architetture dal tono malinconico come nelle sue “Periferie” coeve. 
Esposte già nel 1920 da Sarfatti, la lunga serie di vedute cittadine che Sironi realizza per circa un decennio, esibiscono casoni popolari, fabbriche, gazometri, stazioni, strade deserte tagliate da fasci di binari su cui scorrono pesanti tram, qualche camion solitario e le prime automobili di una Milano inedita.

Sironi dichiarò che il fascismo era “stile di vita”, la vita stessa degli italiani. È una dichiarazione di grande rilievo se si considera il ruolo fondante che lo “stile” svolse nelle nazioni europee tra le due guerre. Perciò, costruendo lo “stile italiano”, l’artista svolgeva una funzione morale perché subordinava la propria individualità all’opera collettiva
Giuseppe Gubitosi

Qui, Gubitosi mette in rilievo il concetto di monumentalità che Sironi imprime a quello che doveva diventare “lo stile italiano” degli anni Trenta, un linguaggio ispirato alla romanità e alla tradizione che fa dell’artista un “autentico interprete del fascismo”.
L’occasione arriva con la Mostra della Rivoluzione Fascista del 1932, allestita nel Palazzo delle Esposizioni di Roma assieme al massimo esponente del Razionalismo Italiano, il giovane Giuseppe Terragni. 

Il pittore e l’architetto collaborano per fondere le rispettive arti, pittura, scultura e architettura, in un dialogo ben orchestrato che denota come gli artisti abbiano compreso l’importanza dei nuovi i mezzi di comunicazione di massa, fondamentali per educare e plasmare sia il gusto, sia l’identità delle platee

Sironi sarà l'unico artista a mantenere aperta la questione dello stile di un'arte fascista attraverso il suo manifesto dedicato alla “Pittura murale” (1932), lanciato in occasione della grande esposizione. 
Da ora, per circa un decennio, Sironi abbandona l'arte da cavalletto e mentre molti colleghi pittori cadevano miseramente nell'incapacità di sostenere lo sforzo richiesto dall’affresco, Sironi primeggiava instancabile, deciso di plasmare i muri e il sentimento del popolo con le sue immagini. 
Dal 1931 al ‘42, Sironi realizza un numero di opere impressionanti, cimentandosi non solo in affreschi, ma anche in vetrate, mosaici, rilievi monumentali, fin anche in allestimenti architettonici per la Triennale milanese (1933) dove collabora con Gio Ponti (Sironi a Milano, Roma e Sassari). 
Indiscusso teorico della rinascita delle arti decorative, Sironi realizzava una delle sue opere pubbliche più intense di questo periodo, l'Aula Magna dell'Università di Roma, progettata da Marcello Piacentini 
L’Italia tra le arti e le Scienze” (1933-’35), affresco di circa dieci metri per venti, presenta le personificazioni di Astronomia, Mineralogia, Botanica, Geografia, Architettura, Lettere, Pittura e Storia, tra le quali, l’artista intreccia i simboli dell’aquila imperiale, dei cavalieri e delle vittorie alate, fino all’effige di Mussolini a cavallo. 
Per tanta simbologia fascista, l’affresco venne nascosto da un muro per oltre quarant’anni e in parte fu anche manomesso con la grave cancellazione di alcune parti “compromettenti” (Sironi a Milano, Roma e Sassari).

Una sorta di “imbraghettata”, qui commenta Duccio Trombadori

Stessa sorte toccò alla vetrata con “La carta del lavoro” (1931-32), realizzata per il Ministero delle Corporazioni, oggi dell'Industria in Via Veneto a Roma, nascosta per decenni. 
In chiusura del documentario, il critico d'arte Carlo Fabrizio Carli, dopo aver accostato l’opera di Sironi a figure capitali per l’arte italiana del primo Novecento, come de Chirico, Boccioni e Morandi, sottolinea l’originalità di un artista che, infondo, ha finalizzato il suo lavoro al totale superamento della pittura da cavalletto, anticipando nuove istanze creative.

Sironi, che era poi un pittore figurativo, ebbe anche molto da insegnare, soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta, a quanti in Italia allora si accostavano al versante dell’Espressionismo Astratto
Carlo Fabrizio Carli 

Negli anni in cui tramontavano le grandi opere commissionate dal regime, Sironi aderiva alla Repubblica di Salò; nei giorni della liberazione di Milano, l’artista non cercava scampo in trasformismi al pari di certi colleghi, ma affrontava la fuga verso Como con il suo cane rischiando di essere fucilato. 
Fu lo scrittore Gianni Rodari, partigiano comunista che stimava la fermezza morale dell’uomo, a riconoscerlo e a firmargli un lasciapassare al posto di blocco della sua brigata.

Alla disperata amarezza per il crollo delle sue illusioni civili e politiche sopravvenne anche lo strazio per la morte della figlia Rossana che, a diciannove anni, nel 1948, si tolse la vita

Tuttavia, Sironi non smise di lavorare e alla sua pittura un tempo sintetica, potente, energia e costruttiva, sostituì una frammentarietà delle forme e uno sfilacciamento della sintassi compositiva culminante nell’ultima serie di quadri dal titolo emblematico di “Apocalissi”. 
Luigi Tallarico mette a confronto queste ultime tele drammatiche e dense di materia pittorica, evocanti le macerie del mondo che gli era crollato addosso, allo stesso superamento dei linguaggi tradizionali attuato in quel frangente, dal giovane Alberto Burri. I medesimi valori materici fatti di materiali poveri, come sacchi, cuciture e bitumi, ricordavano il campo di prigionia dove l’artista aveva trascorso i suoi anni di prigionia in Texas (Il primo “ricordo postumo” di Mario Sironi).

Estratto da
Mario Sironi, Intelligenze scomode del Novecento, di Giacomo Accame e Sergio Tau, Rai, 2000 
Sironi, un pittore "difficile”, prima parte

FOTO DI COPERTINA