Sironi, un pittore "difficile"

Intelligenze scomode del Novecento, prima parte

Sironi è un pittore difficile, perché da una parte voleva rifarsi ad elementi arcaici, antichi e tradizionali e dall’altra, voleva essere nuovissimo, moderno e rompere con quello che lui chiamava il “senso comune”, o il “buon senso borghese”
Duccio Trombadori

Estratto dalla serie televisiva “Intelligenze scomode del Novecento” (di Giacomo Accame e Sergio Tau, Rai, 2000), nel filmato dedicato a Mario Sironi (1885-1961), gli esperti d’arte Duccio Trombadori e Luigi Tallarico introducono la fortuna critica di un artista particolarmente complesso.
Il documentario, qui proposto in due parti (Sironi, artista moderno e arcaico, seconda parte), restituisce il ritratto di un pittore “difficile” da valutare, sia per la sua piena adesione al fascismo, sia per la profondità di un messaggio estetico che necessitava, dopo oltre quarant’anni, di un’opera di studio e storicizzazione.
Fin dal secondo Dopoguerra, infatti, citare Mario Sironi tra i grandi artisti del Novecento era cosa assai ardua e per capire a fondo la sua parabola artistica sono state necessarie ricerche approfondite da parte di importanti studiosi italiani. Queste indagini, per la maggior parte d’archivio, hanno costituito le basi per una corretta prospettiva di lettura della sua opera, una produzione sterminata e varia rivista attraverso una serie di mostre, anche recenti. 
La grandezza di Sironi, artista di calibro europeo e uomo guidato da una incrollabile fermezza morale, inizia a delinearsi nell’ultimo ventennio del secolo scorso in esposizioni qui in parte documentate: quella per il centenario della nascita allestita tra Milano, Roma e Sassari (Sironi a Milano, Roma e Sassari) nel 1985, quelle romane della Galleria Nazionale d'Arte Moderna (1993) e del Complesso del Vittoriano (2014; Tutto il Novecento di Mario Sironi), nonché, le ultimissime di Milano e a Nuoro (2021; Mario Sironi), fatte in occasione dei sessant’anni della morte. 
In questa prima parte del filmato, Duccio Trombadori fa luce proprio sul particolare muro ideologico che nel Dopoguerra italiano aveva tolto a Sironi l’”integrità” di artista, dimezzando la sua opera in due periodi ben distinti, un primo Futurista e “avanguardista” degno di nota e un secondo di aderenza incondizionata al fascismo e decadenza retorica (Massimo Carrà, commenta Sironi).
Combattente nella Prima Guerra Mondiale, futurista e poi primo attore di un “ritorno all’ordine” di sapore “arcaico-modernista”, espresso nel gruppo Novecento fondato con Margherita Sarfatti nei primissimi anni Venti (Sarfatti, la musa del Duce), Sironi idealizzò a tal punto la civiltà corporativa fascista che nella sua opera pubblica del decennio successivo, divenne bersaglio di rozze e interessate polemiche di “fondo bolscevico”. 

I tumulti e i miti rivoluzionari del XX secolo resero difficile fin da subito la vita e la fortuna del talentuoso artista che purtroppo, fin da giovane, soffriva di crisi depressive 

Negli anni Trenta del secolo scorso, Sironi lasciava la famiglia a Milano e con grande passione e dedizione si catapultava a Roma per servire il Duce con la sua arte. Tuttavia, l’artista deve affrontare una scena ostile, poco avvezza alla modernità e presto sconta la sua “illusione fascista” a caro prezzo con le prime grandi incomprensioni da parte degli apparati del regime stesso.
Come qui ricorda Luigi Tallarico, leggendo alcuni passi del “Manifesto della pittura murale” (1932) di Sironi, dedicato a un “arte pubblica” e “antindividualista”, anche al tempo delle grandi commissioni di successo l’artista mantenne quella sua espressività arcaica di tinte terrose, caratteristiche del suo temperamento pensoso, triste e solitario, poco allineato alla retorica superficiale del regime. 
Negli anni in cui tramontavano le grandi opere commissionate dal Duce, poco prima di aderire alla Repubblica di Salò, questo sentimento era ancora più visibile nella personale allestita alla Galleria del Milione di Milano (1942). Qui, nel tempio dell’avanguardia milanese, l’artista esponeva una serie di tempere da lui definite "frammenti di opere murali". Ancora una volta, Sironi ribadiva il respiro mitico e intramontabile della sua arte pubblica, monumentale e distante dal deliziare i salotti della borghesia, ma soprattutto, i portafogli dei galleristi con i quali, fin dagli anni Trenta, aveva avviato numerose dispute per insolvenza di contratti. 

Nei giorni della liberazione di Milano, Sironi non cercò scampo in trasformismi al pari di certi colleghi, ma affrontò la fuga verso Como con il suo cane rischiando la fucilazione

Fonti diverse riportano nomi di “salvatori” dell’artista: dal giovane scrittore Gianni Rodari, allo scultore Andrea Cascella, entrambi partigiani comunisti che, riconosciuto l’uomo, forse stimato come artista o come “anarchico” data la sua risaputa fermezza morale, gli firmarono un lasciapassare al posto di blocco della brigata.

Alla disperata amarezza per il crollo delle illusioni civili e politiche sopravvenne anche lo strazio per la morte della figlia Rossana che, nel 1948, a diciannove anni, si tolse la vita

Sironi non smise comunque di lavorare: iniziò a frammentare le forme e a sfilacciare quella che un tempo era una ferrea sintassi compositiva. L’ultimo quadro rimasto sul cavalletto alla sua morte appartiene al ciclo pittorico dal titolo emblematico di “Apocalisse”.
Nel Dopoguerra, Sironi rifiutava l’invito delle Biennali di Venezia, ma continuava ad esporre alla Triennale di Milano (1951) e alla Quadriennale di Roma (1955), nonché in una mostra itinerante negli Stati Uniti con lo scultore Marino Marini (1953). 
Nel 1955, usciva una sua monografia, tuttora fondamentale, curata dal vecchio amico, architetto e critico d’arte, Agnol Domenico Pica (Agnol Domenico Pica racconta l’amico Sironi). Nel 1956, fu anche eletto Accademico di San Luca, un riconoscimento che accolse con disincanto. 
La sua salute, intanto, si deteriora e nell'agosto del 1961 moriva per broncopolmonite in una clinica di Milano (Il primo “ricordo postumo” di Mario Sironi). 

Nel Dopoguerra, buona parte della sua opera monumentale venne occultata e anche rimossa in alcune parti per cancellare un passato “scomodo” e difficile da accettare

Il filmato inizia proprio da uno dei casi simbolo di questa rimozione, la Casa Madre dei Mutilati di Roma di Marcello Piacentini che, tra i tanti cicli decorativi interni, nel “Sacrario” conserva gli affreschi di Sironi celebranti l’impero mediante la rappresentazione di due monumenti equestri: “Il Duce” e “Il Re Vittorio Emanuele III” a cavallo, immagini grandiose tornate visibili solo dal 1987. 

Estratto da
Mario Sironi, Intelligenze scomode del Novecento, di Giacomo Accame e Sergio Tau, Rai, 2000 
Sironi, artista moderno e arcaico, seconda parte

FOTO DI COPERTINA
Mario Sironi, dettaglio di "Busto d'uomo", 1923-‘24