Capogrossi. Dietro le quinte. Prima parte

La stagione figurativa: 1927-1949

La ricorrenza dei cinquant’anni dalla scomparsa di Giuseppe Capogrossi (Roma, 7 marzo 1900 – 9 ottobre 1972) è stata un’importante occasione per celebrare uno dei padri della pittura informale e dell’arte italiana del Novecento. La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea ha proposto la mostra Capogrossi. Dietro le quinte a cura di Francesca Romana Morelli, realizzata in collaborazione con la Fondazione Archivio Capogrossi, riportando a Roma l'opera dell’artista dopo oltre venti anni.

In mostra, una selezione di oltre trenta dipinti e una ventina di opere su carta provenienti dalle collezioni della Galleria Nazionale, sede del più cospicuo nucleo di opere dell’artista, dalla Fondazione Archivio Capogrossi e da collezioni private. Completano l’esposizione documenti d’archivio provenienti dai fondi documentari dell’artista conservati nell’Archivio della Galleria e presso la Fondazione, come ritratti fotografici di Capogrossi con personaggi di spicco dell’epoca, cataloghi di mostre, riviste, lettere e articoli di giornale, che ricostruiscono le relazioni intessute dall’artista.

La mostra è un excursus che intende stabilire un serrato dialogo tra la prima stagione pittorica dell’artista, culminata nel periodo tonale, con la fase successiva, in cui le opere funzionano come le tessere di un puzzle, che una volta incastrate tra di loro, senza seguire un ordine cronologico, ma piuttosto assonanze nella struttura compositiva, rendono visibile l’autentica fisionomia saturnina dell’artista, che fin dagli anni Trenta, filtra la sua pittura con una logica e un rigore mentale, mostrando di essere sempre in ascolto di sé stesso e in costante osservazione del mondo esterno, rimanendo fuori da rotte consolidate. 
Francesca Romana Morelli, curatrice della mostra

La prima formazione di Capogrossi, dopo la laurea in Giurisprudenza, si compie nell'ambito dell'ambiente artistico religioso della Capitale, indirizzato dallo zio materno Pietro Tacchi Venturi, insigne gesuita e storico delle religioni. Dal 1923 Capogrossi si avvicina alla Scuola del nudo tenuta nel primo dopoguerra da Felice Carena. Nel 1927 espose la prima volta insieme con Emanuele Cavalli e Francesco Di Cocco in una sala presso l'Hôtel Dinesen di Roma. Da questa data fino al 1933, Capogrossi. visse tra Roma e Parigi. Dall'amicizia e dalle ricerche compiute con Cavalli, Fausto Pirandello, Roberto Melli e (dal 1931) con Corrado Cagli nacque il tonalismo, indirizzo dominante della Scuola romana negli anni Trenta.

Tra gli apporti più importanti e che esulano dal fatto puramente tecnico, è la costruzione tonale e questa trova, nel mio attuale indirizzo estetico, il suo giusto valore senza cioè limitare il campo delle mie ricerche espressive, libertà indispensabile nell’opera creativa.
Giuseppe Capogrossi

Il primo ventennio della carriera dell'artista vede successi e riconoscimenti importanti. La mostra romana propone, oltre a una delle rare immagini di sé, l'Autroritratto con Emanuele Cavalli (1927), una serie di dipinti emblematici della ricerca condotta da Capogrossi sulla costruzione della figura in questi decenni. Nel repertorio pittorico, tra i soggetti esplorati frequentemente si ritrova la figura della Ballerina, il costume di Arlecchino, ma anche nature morte dalla matrice fantastico-surreale come Sogno d'acquario, un olio su tavola (1936-37), incluso nelle sedici opere della sala personale dedicata al pittore alla III Quadriennale romana nel 1939. Un'ambientazione misteriosa caratterizza il dipinto Dietro le quinte (1938, Galleria Nazionale d'Arte Moderna), che dà il titolo alla mostra romana per sottolineare la presenza nella ricerca artistica di Capogrossi di un itinerario sempre presente, sotterraneo e parallelo a quello esplorato nella figurazione. Fino al 1986 l'opera risultava dispersa ed era nota soltanto attarverso foto d'epoca. In seguito a un restauro del dipinto Le due chitarre (1948), sul verso dello stesso, è ricomparsa la scena misteriosa con i due personaggi in maschera, enigmatici, forse rappresentazione di un rito iniziatico.


Giuseppe Capogrossi, Dietro le quinte (dettaglio), 1938 circa, olio su tela, 145x100cm. Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna 

Tra le opere più note di questo periodo si ricordano: Il vestibolo (olio su tela, collezione privata,1932)  i Canottieri (1932, olio su tela, Roma, coll. priv.), la Piena sul Tevere (1934, olio su tela, Roma, coll. priv.); il Ballo sul fiume (1934-35, olio su tela, Roma, coll. priv.); dipinti che raccontano una Roma molto diversa da quella delle parate di regime, la città mediterranea e solare dei barconi sul Tevere, luoghi frequentati assiduamente dall'artista. E' parte della serie Il Paesaggio invernale (1935), ripreso dalla terrazza in cima a una palazzina di Prati, dove Capogrossi aveva il suo studio, ma anche inteso come pura e desolata messa in scena della vita umana (di proprietà di UniCredit). Questo importante ciclo dei paesaggi romani presenta dipinti caratterizzati da una costruzione geometrica priva di profondità, pervasi da atmosfere quattrocentesche, un utilizzo evocativo del colore, pieno e assoluto, indizio della futura stagione astratta del maestro. Il passaggio dalla figurazione all'astrattismo, non fu, infatti, brusco e immotivato. 

La trasformazione formale getta le basi nella stagione figurativa degli anni Trenta e nella produzione tonale di Capogrossi si trovano molte delle premesse della sua pittura successiva, come la ricerca di semplificazione dello spazio e un cromatismo infinitamente variato. Infatti, durante la fase figurativa l'accento si sposta progressivamente dal soggetto alle strutture dello spazio pittorico, finché il riferimento alla natura viene abbandonato.

Opere significative, presenti in questa mostra romana, che evidenziano l'attenzione dell'artista verso il segno, scelto come elemento guida nell'approccio alla realtà, sono Ritratto muliebre (1932), dove l'artista ritrae la giovane cecoslovacca Hilde Pan: un olio su tavola in cui il pittore si concentra sulla texure astratta dell'abito azzurro, ottenuta con un raffinato rigore. Anche nei disegni è possibile rintracciare l'itinerario che si compie dal figurativo verso il segno: il passaggio da una sequenza di corpi femmminili dalle forme tornite e colorate  per arrivare a nudi scarniti dal vuoto dello spazio che li circonda, che così assume un valore equivalente. Nella Composizione di figure danzanti (1947-48) le figure si dissolvono nei segni di colore, che assecondano la musicalità del ritmo: è un passo significativo verso la realizzazione delle Superfici abitate soltanto dal segno, una fase di transizione così commentata dai critici più attenti:   

Le figure, che  prima abitavano, ora incarnano lo spazio: lo recano in una particolare disarticolazione  delle membra, che si profilano e spianano.
Giulio Carlo Argan (1946)