Giornate FAI di Primavera 2021

Un itinerario che attraversa trecento città e diciannove regioni del Bel Paese. Seicento i luoghi da visitare, molti dei quali poco conosciuti o accessibili in via eccezionale, proposti per la 29ª edizione delle Giornate FAI di Primavera in programma sabato 15 e domenica 16 maggio 2021.

Ville e parchi storici, residenze reali e giardini, castelli e monumenti, aree archeologiche e musei insoliti; e ancora, orti botanici, percorsi naturalistici e itinerari in borghi che custodiscono antiche tradizioni. Tornano sabato 15 e domenica 16 maggio 2021 le Giornate FAI di Primavera, il primo grande evento nazionale dedicato ad arte e cultura organizzato dopo l’ultimo periodo di lockdown. Una manifestazione di partecipazione attiva e di raccolta pubblica di fondi che, giunta alla ventinovesima edizione, rappresenta un appuntamento imperdibile per scoprire l’inestimabile patrimonio culturale d’Italia.

L'edizione della primavera 2021 che il Fondo per l’Ambiente Italiano ha voluto coraggiosamente programmare a metà maggio, è stata resa possibile affrontando con grande tenacia le innumerevoli complessità organizzative legate all’emergenza sanitaria. Uno sforzo speciale di cui si sono fatti carico con entusiasmo e passione civica i volontari di 335 Delegazioni e Gruppi FAI attivi in tutta Italia, vero motore dell’evento nel solco del principio di sussidiarietà, sancito dalla Costituzione, che è alla base dell’agire quotidiano della Fondazione. Alle Giornate FAI di Primavera è stata conferita la Targa del Presidente della Repubblica, un importante riconoscimento all'impegno delle Delegazioni, dei Gruppi e dei volontari che rendono possibili questi giorni di festa dedicati al patrimonio del Paese.

Quest’anno la manifestazione è anche un’occasione per raccontare, attraverso l’attenta scelta dei luoghi e la narrazione che ne verrà fatta, la nuova visione culturale della Fondazione – presentata a fine marzo durante il XXV Convegno Nazionale dei Delegati e dei Volontari - che vede l’Ambiente come indissolubile intreccio tra Natura e Storia e la Cultura come sintesi delle scienze umane e naturali. 

Tra le aperture più interessanti si segnala:
 
Villa Il Vascello, Roma. Tra il 1655 e il 1663 l'abate Elpidio Benedetti costruisce la sua dimora subito fuori Porta S. Pancrazio, su progetto e direzione dell' “architettrice” Plautilla Bricci: un complesso straordinario mantenuto fino a metà Ottocento. Nel 1849 durante la difesa della Repubblica Romana fu scenario dei tragici combattimenti tra le truppe francesi ed i garibaldini che proprio qui trovano un tragico epilogo: ultimo baluardo dei difensori prima delle mura della città. Nel 1877 il generale Giacomo Medici, il glorioso combattente che aveva partecipato alla difesa della villa nel 1849, ricevette dal re Vittorio Emanuele II il titolo di ‘Marchese del Vascello'. Il generale, insieme poi a suo figlio Luigi Medici, ristrutturò e ricostruì l'edificio, dando alla villa l'aspetto attuale: una sorta di villa rinascimentale sul modello della Farnesina, con un corpo centrale rettangolare e due avancorpi sul lato nord verso il parco e in direzione di S. Pietro. Dal 1985 è sede del Grande Oriente d’Italia, la più antica istituzione massonica del Paese.

Ponte Lupo, Roma. Il “gigante dell’acqua”, un tratto monumentale dell’acquedotto realizzato da Quinto Marcio Re tra il 144 e il 140 a.C., uno dei pochi monumenti antichi che non ha subito alcun restauro in tempi moderni. Realizzato da Quinto Marcio Re tra il 144 e il 140 a.C., l'Aqua Marcia è il più lungo degli acquedotti di Roma antica (circa 91 km), famoso per la freschezza e limpidezza delle sue acque captate presso le sorgenti di Marano Equo, tra Agosta ed Arsoli. Pur correndo per oltre 80 km in sotterraneo, fu necessario costruire alcuni ponti per superare le valli intercettate dall'acquedotto. Ponte Lupo venne per l'appunto realizzato per attraversare il Fosso dell'Acqua Rossa, luogo leggendario ove si sarebbe svolta la battaglia tra Orazi e Curiazi, ribattezzato nell'Ottocento valle dei Morti per l'abbondanza di reperti umani e archeologici allora rinvenuti.

Il giardino di Palazzo Roverella, Ascoli Piceno. Il giardino dei Palazzi vescovili occupa una vasta area del Centro Storico di Ascoli Piceno e delimita verso Sud il complesso degli edifici monumentali di Piazza Arringo formatosi nel corso dei secoli. Questo spazio rappresenta uno dei pochi esempi superstiti di giardino storico di grandi dimensioni di impianto rinascimentale rimasto oggi nel perimetro della città antica. Nel giardino il pozzo con gli stemmi  del vescovo Caffarelli realizzato nel 1484.

Palazzo Caprara, Bologna. Palazzo Caprara è un importante edificio senatorio situato nel pieno centro di Bologna, proprio alle spalle del Palazzo comunale della città. L'edificio, fin dal 1927, è sede della Prefettura di Bologna e rappresenta dunque uno dei luoghi istituzionali più importanti del territorio comunale.

Villa Faraggiana, Albissola Marina. Edificata nel corso del XVIII secolo dalla potente famiglia Durazzo di Genova come buen retiro nel loro contado di Albissola Marina, la villa passò nel 1821 alla famiglia ligure dei Faraggiana che ne mante la proprietà fino agli anni '60 del XX secolo quando fu rilevata dal Comune di Novara, città nella quale gli ultimi discendenti della casata si erano trasferiti. Tra i capolavori conservati al suo interno - frutto della cura per il bello dei vari proprietari succedutisi per quasi duecento anni - gli affreschi con scene arcadiche e il preziosissimo pavimento in maiolica del Salone delle Quattro Stagioni, stucchi, mobili dorati, letti a baldacchino e romantici strumenti musicali che restituiscono al visitatore un'atmosfera unica di metà Ottocento.

Chiesa di Santa Maria della Rocca, Offida - Ascoli Piceno. Gioiello della cittadina  di Offida è la Chiesa di Santa Maria che guarda dall'alto il verdissimo panorama che si estende tutto intorno. Di aspetto maestoso, la chiesa si erge su un dirupo ad ovest di Offida con un campanile a pianta quadrata terminante a cuspide piramidale ottagonale. È un tempio romanico-gotico in laterizio, rigato da eleganti lesene di travertino e decorato, alla sommità, con una doppia fila di archetti trilobati. Attraverso una gradinata chiusa tra due ali di muro, si accede alla cripta che presenta un portale in travertino scolpito a fogliame (sec XIV) a tortiglioni ed animali. La facciata principale, che è quella del lato ovest, è divisa verticalmente in tre parti da lesene con un portale in laterizio sorretto da pilastrini in travertino e sovrastato da un bellissimo rosone in legno di quercia. La lunga storia di questo edificio sacro, come narra la leggenda, rischiò di concludersi nei giorni bui della seconda guerra mondiale quando i tedeschi posero alcune mine alla base della chiesa per farla saltare.

La Concattedrale Gran Madre di Dio, Taranto. La chiesa fu voluta dall' Arcivescovo di Taranto Monsignor Guglielmo Motolese che, negli anni Sessanta, aveva notato quanto il Borgo Nuovo si fosse esteso in maniera esattamente opposta all'antica Basilica Cattedrale di San Cataldo da sempre nucleo religioso in Città Vecchia. I nuovi quartieri erano molto popolosi e avevano bisogno di un nuovo punto di accoglienza spirituale e di fede: così l'incarico di una chiesa per quei rioni fu affidato a Gio Ponti, uomo di grande e profonda spiritualità e noto in campo nazionale. I lavori per la Concattedrale iniziarono nel 1964 e si protrassero, dopo vari progetti, fino al 1970 anno dell'inaugurazione.   La facciata leggera e traforata, formata da setti di cemento armato bianco, presenta due livelli architettonici diversi di cui il più alto è la cosidetta “Vela” che, seguendo l'idea pontiana, si sostituisce alle antiche cupole; questa bianchissima architettura, si riflette nelle tre vasche frontali leggermente degradanti e offre un effetto specchiante duplicando magicamente la sua immagine nell'acqua. Tutto l'insieme, estremamente geometrico e stilizzato, ubbidisce ad una logica precisa e all'inventiva straordinaria di questo famoso architetto capace di rielaborare la linearità del Romanico Pugliese e il candore dei paesi imbiancati tipici del Sud in formule architettoniche moderne. Secondo il progetto di Gio Ponti la nuova chiesa avrebbe dovuto rimanere isolata e mistica, unica costruzione emergente tra sempreverdi e rampicanti: una fusione tra architettura e ambiente in sintonia perfetta e, anzi, necessari l'uno all'altro.

Palazzo Chiablese, Appartamenti di Carlo Felice di Savoia, Torino. Il palazzo che ha inglobato edifici preesistenti, rientra nel più vasto progetto di Ascanio Vittozzi voluto da Emanuele Filiberto alla fine del XVI secolo per riordinare gli spazi urbanistici davanti al palazzo Ducale (oggi Reale). Nel 1753, Carlo Emanuele III destina il palazzo al figlio cadetto Benedetto Maurizio di Savoia, duca del Chiablese. Nei lavori di trasformazione commissionati in quegli anni sono coinvolti i principali pittori, stuccatori ed ebanisti attivi nei cantieri di corte. Con la caduta dell'Ancien Régime, i duchi del Chiablese abbandonano Torino  e il palazzo, a disposizione dei Francesi, ospita il governatore Camillo Borghese con la moglie Paolina Bonaparte. Nel 1814, il palazzo torna alla duchessa vedova del Chiablese che lo lascia in eredità al fratello Carlo Felice, divenuto re nel 1821. Il nuovo sovrano, per i suoi soggiorni torinesi, preferisce questa residenza all'attiguo palazzo Reale e qui muore nel 1831. Nell'edificio, passato nel frattempo a Ferdinando di Savoia-Genova, nasce nel 1851 la figlia Margherita, futura prima regina d'Italia. Durante la seconda guerra mondiale, il palazzo subisce gravi danni dai bombardamenti anglo americani.

Foto in copertina: Villa Faraggiana - Albissola Marina. Foto Davide Marcesini 2021, FAI - Fondo Ambiente Italiano.
 

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