Alfonso Maurizio Iacono. Male Nostrum

La complessità del male

Alfonso Maurizio Iacono, intervistato in occasione della V edizione del Festival del Pensare, dal titolo Male nostro quotidiano, che si è svolta, dal 18 al 26 luglio 2019, a Cecina, Casale Marittimo, Guardistallo, Montecastelli Pisano, Castagneto Carducci, Bibbona e Populonia, parla del tema del male, oggetto di un dibattito che avrebbe dovuto tenere al Festival con il filosofo Remo Bodei
Iacono inizia analizzando due momenti storici e il primo è il 1755, l’anno del terremoto di Lisbona, che crea una crisi nelle coscienze dei filosofi, mettendo in discussione l’idea di provvidenza,  Voltaire, qualche tempo dopo questo evento scriverà il Candido, che è una critica dell’ottimismo leibniziano. Il secondo momento storico è l’Olocausto, che Iacono considera per il problema posto dal filosofo ebreo tedesco Hans Jonas, quando si interrogò, come in seguito fece anche Sergio Quinzio,  sul rapporto tra Dio e il male. La questione è quella dell’onnipotenza di Dio, perché dopo l’Olocausto, il popolo ebraico si pone la domanda se il suo Dio onnipotente abbia voluto l’annientamento del suo popolo, ossia il male. Per gli ebrei Dio può essere onnipotente e buono, ma dopo l’Olocausto le possibilità si riducono: se Dio è onnipotente allora ha voluto il male, se invece Dio è buono, non può impedire il male, ma può soffrire insieme all’uomo. In questo caso sono gli uomini, non Dio, ad essere responsabili del male, e in questo consiste il vantaggio di depotenziare l’onnipotenza di Dio, che accresce la responsabilità, ma anche l’autonomia e la  libertà  dell’uomo.
Questo tema di Hans Jonas risale alla tradizione cabalistica iuranica, che spiega anche la creazione del mondo dal nulla, lo Tzimtzum, che significa letteralmente ritrazione e descrive Dio che si ritrae nell'atto della creazione del mondo, un tema che viene riproposto nel XX secolo da Walter Benjamin, che mette insieme la teoria della storia di Marx e il modello cabalistico. 
Un altro punto, sempre legato all’Olocausto e in particolare al libro di Primo Levi, I sommersi e i salvati, è quello della zona grigia, dei kapò, ebrei che partecipano al genocidio degli ebrei. La zona grigia è l’emergenza del concetto di complessità nella valutazione della storia, nel senso che il problema della storia è certamente la banalità del male, ma senza negare la complessità delle questione, per cui non si può ridurre la storia ad un film con i buoni e i cattivi.
Venendo all’attualità e alle continue stragi di innocenti nel Mediterraneo, Iacono cita il filosofo ebreo Günther Anders, che diceva che:

non si può provare orrore per l'uccisione di un milione di persone,  perché è impossibile dal punto di vista psicologico. Si può provare orrore solo per un singolo. Per questo è così importante la narrazione, perché individua il male, che, diventando il  problema di un singolo, può essere colto emotivamente. Non si può provare orrore per i numeri ed è questo il motivo per il quale oggi purtroppo attraverso i social si ci può scatenare.

Quello che emerge è il processo di identificazione con il boia, di cui parlava sempre Primo Levi , per cui è importante parlare del male storicamente prodotto per capire come si produce e chi lo produce. David Hume nel trattato sulla natura si chiede da dove nasca la simpatia, e afferma che essa nasce dal fatto che, per esempio, il povero si identifica con il ricco perché pensa come sarebbe lui se avesse tanti soldi. Questa identificazione produce un sistema, che Antonio Gramsci avrebbe definito di egemonia culturale, il fatto che una persona incorpora in sé una teoria e la naturalizza facendosi carico emotivamente anche dei problemi di cui è vittima. 
Ha ragione pertanto Günther Anders, quando dice che:

il male deve avere nomi e cognomi, per cui la memoria è importantissima. Ogni singolo che subisce una violenza ingiusta non può diventare un numero, perché i numeri non producono senso di sofferenza e favoriscono l’oblio della memoria. 


Alfonso Maurizio Iacono è professore di Storia della Filosofia presso l’Università di Pisa. Si è occupato dei rapporti tra filosofia e antropologia attraverso una metodologia d’indagine influenzata dallo strutturalismo francese, dall’epistemologia della complessità di Francisco Varela e dalla riflessione di Gregory Bateson. Alle prime ricerche sulle strutture cognitive del pensiero europeo di fronte al colonialismo, in primo luogo la nozione di feticismo, sono seguite le riflessioni sull’epistemologia dell’osservatore e sui concetti di autonomia e finzione in una chiave storico-politica. Attualmente lavora sui temi della storia e della sostituzione attraverso l’immagine rinascimentale e moderna della finestra.