Beppe Fenoglio: dall'esperienza vissuta all'esperienza assoluta

Beppe Fenoglio: dall'esperienza vissuta all'esperienza assoluta

Intervista al critico letterario Giulio Ferroni

Beppe Fenoglio: dall'esperienza vissuta all'esperienza assoluta
Giulio Ferroni, professore ordinario di letteratura italiana all’università di Roma La Sapienza, autore della fortunata Storia della letteratura italiana di Einaudi, si è occupato tra l’altro di letteratura e di teatro del Cinquecento, di teoria del comico, di Novecento e di tematiche politico-culturali. Tra i suoi ultimi lavori ricordiamo Dopo la fine. Sulla condizione postuma della letteratura italiana (Einaudi 1996) e Dizionarietto di Robic. Centouno parole per l’altro millennio (Pietro Manni 2000). Collabora alle pagine culturali dell’Unità.

Intervista a cura di Valeria Merola

Fenoglio è un personaggio isolato, lontano dal contesto intellettuale dei suoi anni e concentrato su se stesso, sulla propria esperienza. Come si ripercuote questo isolamento nella scrittura?
Questa è sicuramente una delle ragioni per cui Fenoglio è un grande scrittore, un caso unico nel nostro novecento letterario. Fenoglio si è concentrato sull’esperienza vissuta che ha saputo trasformare in esperienza assoluta.

La sua letteratura ruota su anni cruciali, nella realtà ben circoscritta delle Langhe, al di fuori della società letteraria del tempo. Quello che sorprende è come la sua scrittura, partendo dall’epopea partigiana e dal resoconto in presa diretta, riesca a raggiungere i toni della tragedia arcaica, la profondità del mito.

I primi Appunti partigiani e la prima stesura del Partigiano Johnny si accostano al neorealismo, del quale riprendono l’automatismo del racconto, ma presto lo stile si eleva, per trasformare il vissuto biografico in evento assoluto.

La scrittura del Partigiano Johnny è fitta di anglismi, sui quali si modella anche la struttura sintattica dell’italiano. Come si può considerare questo sperimentalismo linguistico, nell’ambito della cultura italiana?
Parlando di sperimentalismo linguistico si potrebbe pensare a Gadda, ma il plurilinguismo di Fenoglio percorre una strada differente. La scrittura di Fenoglio raggiunge infatti anche esiti espressionistici, ma non è orientata esclusivamente sull’espressionismo. L’anglismo è la conseguenza di una scelta culturale e non stilistica, che risponde all’esigenza di fotografare la realtà della guerra dal punto di vista della mentalità anglosassone. La situazione concreta della guerra viene quindi resa in questa singolare proiezione, per cui l’esperienza personale si riverbera sul vissuto storico.

La lingua reca le tracce della prospettiva letteraria e del filtro anglicizzante che si frappone alla visione.

Per questo non si può parlare di esercizio stilistico o di virtuosismo espressionistico e Fenoglio non si può accostare né a Gadda, né a Pasolini né alle avanguardie. Perché Fenoglio resta un caso isolato, che non si incasella in categorie precostituite.

In Una questione privata lei ha individuato la miglior prova della scrittura di Fenoglio. Può illustrarcene le ragioni?
Questo breve romanzo è l’opera più perfetta e più compiuta di Beppe Fenoglio. Dietro alla storia del partigiano Milton che cerca Giorgio, prigioniero dei fascisti, per scoprire la verità del suo rapporto con l’amata Fulvia, si cela una sorta di tragedia, che si avvicina all’assolutezza del mito antico. Sullo sfondo della guerra partigiana nello scenario langhigiano, si staglia la tragedia di Milton, che con la sua volontà di sapere arriva a sfidare anche la morte.

Il riferimento alla tragedia antica è inevitabile. Viene da pensare a Edipo e al suo tracotante desiderio di conoscenza.

Così Milton, che vaga nel paesaggio piemontese alla ricerca del proprio trauma. Il protagonista di Una questione privata morirà nel tentativo di soddisfare l’esigenza di sapere qualcosa che dovrà procurargli dolore e disperazione, di superare un accecamento che non può sostenere. Ecco dunque il tragico, perché Una questione privata è una tragedia, di amore e di guerra.