Ryszard Kapuscinski e la letteratura di viaggio

Ryszard Kapuscinski e la letteratura di viaggio

Intervista di Stas' Gawronski

Ryszard Kapuscinski e la letteratura di viaggio
Intervista rilasciata da Ryszard Kapuscinski a Stas’ Gawronski nell’ottobre 2005, poco dopo l’uscita italiana del suo libro In viaggio con Erodoto. La letteratura, la morte, l’uomo. E poi l’odierna situazione mondiale, le guerre, la missione del reporter. Uno dei grandi del Novecento professa il suo credo.

Qual è stata l’importanza dell’immaginazione nella stesura di In viaggio con Erodoto?
Penso che l’immaginazione sia fondamentale nello scrivere - soprattutto per chi scrive letteratura - perché scrivere significa strutturare la realtà e non semplicemente rifletterla. Non esiste la letteratura senza l’immaginazione. La scrittura di questo libro è stata molto importante per me perché mi ha permesso di immaginare come eravamo noi europei centinaia di anni fa, quando l’identità europea si stava creando. Soprattutto di questi tempi – in cui si sta cercando di capire qual è l’essenza dell’identità europea - è stato importante tornare a rileggere Erodoto, un filosofo greco di venticinque secoli fa. Attraverso il suo modo di vedere il mondo, ho cercato di capire anche qual era il suo modo di intendere l’identità europea. Il mio libro è dedicato a questo: da una parte parla della Grecia contemporanea a Erodoto e, dall’altra, cerca di capire in che modo gli europei odierni si pongono al fuori dei loro confini – andando persino in India o in Cina - per trovare dei “vicini” in altre parti del mondo.

Qual era la peculiarità di Erodoto? Com’è stato il suo incontro col “vicino”, con l’altro?
Non tutte le persone sono interessate a ciò che accade nel mondo: spesso sono concentrate sulla loro realtà locale, sulla loro famiglia, sulla loro lotta per sopravvivere. Ma ci sono altre persone in ogni paese e società che sono interessate a ciò che accade oltre i loro confini. E queste persone, attraverso le loro curiosità, conoscenza e ricerche, sono in grado di dire agli altri qual è il mondo in cui viviamo, qual è l’essenza di questo mondo. Questo significa che, anche se sono una piccola minoranza, sono molto importanti. Soprattutto ora che, grazie alla rivoluzione nella comunicazione elettronica e nei trasporti, viviamo in un mondo multiculturale in cui differenti idee, lingue e costumi si intrecciano. Conoscere l’altro è fondamentale per conoscere se stessi, perché come possiamo comprendere il nostro modo di vivere senza un paragone? Il giudizio è possibile solo attraverso una comparazione.

Credo che l’eroe del mio libro - il grande storico greco Erodoto - volesse capire i greci e l’identità del popolo greco attraverso le altre identità e le altre culture. E così viaggiava, usciva dal suo paese per andare in Asia, in Africa e in altre parti d’Europa. Faceva un quadro degli altri per avere uno specchio in cui vedere se stesso.

Da questo scambio e da questa comprensione reciproci scaturisce l’essenza della nostra stessa identità. Erodoto è l’esempio di qualcuno che ha dedicato tutta la sua vita a conoscere l’altro. Ha viaggiato nei posti più remoti per raccontare le altre persone, la cui cultura differente deve essere rispettata. Al giorno d’oggi c’è chi pensa che solo la propria cultura sia importante, mentre le altre sono secondarie. Per Erodoto no: per lui tutte le persone al mondo hanno ragione nel volere che le loro differenti culture vengano rispettate. Ogni cultura ha la sua dignità, e il rispetto è l’unico modo per sopravvivere e vivere in pace. Se non capiamo l’altro, se non lo trattiamo come un essere umano, arriveremo ad ucciderci a vicenda e ad estinguerci.

Il viaggio come conoscenza di se stessi, quindi...
Ci sono due strade da percorrere simultaneamente per capire il mondo. Una ti porta in giro per il mondo, l’altra dentro te stesso. Un grande filosofo cinese del passato, Confucio, diceva che per conoscere il mondo non serve lasciare la tua casa. Il viaggio serve a fare esperienza dei propri sentimenti, del proprio pensiero. Non si possono separare.

Qual è l’importanza del silenzio, tanto nel viaggio quanto nella letteratura?
La questione del silenzio nella letteratura, così come nella vita, è molto importante e ha bisogno di molta attenzione. Siamo circondati da troppe parole, tutti parlano di continuo: la televisione, il cinema, i conferenzieri. Tutto ciò è molto pericoloso perché il cervello e l’anima hanno bisogno di un certo tempo per riflettere, hanno bisogno di distanza dalle cose per avere uno sguardo più lucido. Mentre invece, in questo vulcano di parole, non abbiamo tempo per concentrarci. Prendersi un periodo di silenzio è molto importante per il pensiero dell’uomo, perché ogni grande opera d’arte o letteraria o di musica è stata creata nel silenzio. Il rumore uccide la creatività.

Qual è, secondo lei, la funzione dell’arte e della letteratura?
Penso che la letteratura, la musica e l’arte in generale ci diano una maggiore consapevolezza del fatto che la nostra vita è piena di dolore e di sofferenza. Siamo pieni di difficoltà e problemi che non si possono risolvere, e spesso la depressione sta nello scoprire che la nostra vita non corrisponde al sogno che inseguiamo. È importante essere coscienti di ciò, soprattutto in questi tempi in cui si dà molta importanza all’intrattenimento e all’evasione.

Un grande sociologo americano ha detto che viviamo in un mondo in cui ci si intrattiene fino alla morte. Se accendi alla televisione non vedi che giochi, balletti e barzellette, ma si dà ben poca attenzione al fatto che il dolore è una parte importante e inseparabile della vita. Dobbiamo affrontare il problema del dolore e della morte. Bisogna pensarci, non possiamo continuare a evaderlo. Sarebbe molto sciocco.

Il suo sentimento della morte?
Ogni uomo fa esperienza di questo sentimento in un modo diverso, ma penso sia importante esserne coscienti. Nelle culture tradizionali il sentimento dell’inevitabilità e dell’attesa della morte è molto forte: dopotutto, si tratta della nostra ultima esperienza, e non sappiamo cosa ci attenda una volta avvenuta. Se ci concentriamo un attimo su questo pensiero, allora riusciremo a dare la giusta proporzione alla nostra esistenza, riusciremo ad accorgerci che la vita è qualcosa di molto caro ed è anche un’esperienza molto breve. Tutta la letteratura, fin dagli inizi, ha avuto a che fare con i grandi problemi dell’esistenza: da dove viene la vita, come si sviluppa e come termina. La coscienza di questi tre momenti ci dà la ricchezza e la profondità della vita umana.

Qual è la missione del reporter? Come deve viaggiare per il mondo?
Quando viaggi per il mondo vedi che la maggior parte delle persone è povera: quelli che hanno uno standard economico alto, o anche solo decente, sono una minoranza. Siamo sei miliardi e mezzo di persone e almeno cinque miliardi vivono una vita molto povera: non hanno buone case e buone scuole, non hanno il minimo trattamento sanitario, non hanno lavoro. La loro vita è disperata. Allo stesso tempo, però, queste persone non hanno voce, non hanno propri media per parlare della loro condizione, non dominano i canali televisivi e la stampa. Sono una maggioranza silenziosa e qualcuno deve testimoniare per loro, esprimere la loro condizione, parlare delle loro vite a quelli che detengono la ricchezza, dire che nel mondo ci dovrebbero essere più giustizia e più uguaglianza perché anche la nostra sicurezza dipende dalle condizioni di questa gente.

Credo che quando i reporter vanno nei continenti dove maggiore è la povertà - Asia, Africa, Sud America - debbano parlare in vece di queste persone e scuotere le coscienze degli altri facendo emergere l’ingiustizia che domina il mondo.

La giustizia non è solo una questione di umanità, ma anche per una questione di sicurezza mondiale. Si possono fare tutte le guerre possibili e immaginabili contro il terrorismo, ma non le si vinceranno mai senza la giustizia. Il solo modo per rendere il mondo più sicuro è quello di renderlo più giusto.

Lei che ha viaggiato in lungo e in largo, che idea si è fatta dell’uomo? È un essere tendenzialmente buono oppure no?
Ogni uomo ha una struttura complessa, una combinazione di diversi elementi. Da una parte è un essere debole, ma allo stesso tempo è molto forte. E le due cose coesistono. Si può essere buoni e, in un’altra situazione, cattivi. Dipende dalle circostanze, dipende dal comportamento degli altri. Lo stesso uomo può essere completamente diverso se preso da solo o messo in mezzo a una folla. Come individuo può comportarsi in un modo molto razionale e umano, ma se inserito nella massa può sprofondare nella follia, per poi domandarsi – una volta fuori dalla gente – per quale motivo abbia potuto perdere la testa. Il comportamento dell’uomo dipende dalle condizioni che lo circondano, dall’età, dalle persone che frequenta, dal fatto di avere o meno da mangiare. Se lo stesso uomo è malnutrito per anni diventa come un animale. L’essere umano ha un’identità mutabile.

E ora arriviamo all’attualità, ossia alla guerra in Iraq: la sua tragedia, il suo reale peso, il ruolo che vi svolgono i corrispondenti...
La guerra in Iraq è solo una delle tante guerre che abbiamo nel mondo. Se ne parla molto per la partecipazione degli americani, ma non è l’unica guerra. Abbiamo circa ottanta conflitti armati, alcuni dei quali si protraggono da molto tempo. La guerra in Sudan va avanti da quarant’anni e finora conta due milioni di vittime, quella in Angola da venticinque, quella in Congo ha causato tre milioni di vittime, quella avvenuta tra Iran e Iraq un milione. La differenza sta nel fatto che delle altre guerre non se ne parla.

Se oggi viene ucciso un soldato americano, tutti i media danno la notizia. Ma nessuno sa delle migliaia di persone che, ogni giorno, muoiono nelle altre guerre. Ciò significa che bisogna distinguere tra le guerre con una grande copertura mediatica e quelle che ne sono prive, ossia le guerre silenziose di cui non si sa nulla e che non interessano a nessuno. Ci sono molte guerre civili, ad esempio, o anche molti conflitti tra stati a causa delle risorse naturali. Dobbiamo capire che è molto importante scrivere di queste guerre, perché non abbiamo idea di quante persone vi possano morire e di quante soffrano per la fame, le ferite, la perdita della casa, l’odio. Questo è il ruolo del corrispondente di guerra: rischiare la propria vita per dare la testimonianza di ciò che accade.

Solo in Iraq, dall’inizio dell’intervento americano, ci sono stati 68 giornalisti uccisi e in Afghanistan più di 50. In ogni guerra – io ne ho viste tante e so cosa significa – si corrono grandi rischi, ma bisogna prenderseli per dire la verità: è un lavoro da persone responsabili. Ma è difficile arrivare alla verità di ciò che accade in una guerra. Uno scrittore inglese ha detto che la prima vittima in ogni guerra è la verità. La guerra non è solo il combattimento, ma anche la grande bugia, le grandi invenzioni, la propaganda, le storie false: il reporter deve andare il più vicino possibile alla prima linea per vedere con i suoi occhi cosa succede. È una grande missione.