Maria Lai, "Legarsi alla montagna"

1981: "Il nastro di Ulassai"

I nastri sono il simbolo dell'arte, sono leggeri, effimeri, sono appena di un colore, non servono a nulla. 
Maria Lai

Legarsi alla montagna, di Maria Lai, fu un evento unico a cui partecipò l'intera comunità di Ulassai in un giorno simbolico di resa come l'8 settembre, ma era il 1981. L'operazione materiale durò tre giorni, protagonista nessun maresciallo, solo un nastro azzurro lungo 27 km. Il primo giorno venne tagliato, il secondo fu distribuito e il terzo, fu legato fra porte, finestre e terrazze di case, ridisegnando così le relazioni vecchie e nuove fra donne, bambini, pastori e anziani. Fu una festa senza precedenti. Alla fine delle manovre, scalatori esperti legarono il nastro al Monte Gedili, la montagna più alta sopra il paese, luogo emblematico per il sostentamento che nella memoria collettiva era stato anche portatore di morte. 
La giornata fu documentata dagli scatti di Piero Berengo Gardin (del quale pubblichiamo la foto di copertina con intervento a pennarello di Maria Lai, gentilmente concessa da Archivio Maria Lai), nonché dall'artista Tonino Casula che realizzò un documentario sull'evento (Legare collegare. Un filo di Maria Lai), fino ad oggi unico se non fosse che era presente anche una telecamera Rai. Qualche giorno dopo infatti, nella rubrica d'informazione "Cronache italiane", supplemento del telegiornale quotidiano, la televisione nazionale ne dava notizia come una particolare festa di paese per la quale erano tornati ad Ulassai anche i lavoratori emigrati (Il nastro di Ulassai). Firma questo servizio il giornalista ulassese Romano Cannas, futuro direttore della sede Rai della Sardegna (2003-2013). All'epoca, Legarsi alla montagna fu giudicata dai circuiti dell'arte nazionale una festa folcloristica e solo Filiberto Menna capì sin dall'inizio il valore di questa esperienza. 

Forse che il grande sogno ad occhi aperti dell’arte moderna di cambiare la vita si è realizzato, sia pure una volta soltanto, proprio qui, in questo luogo lontano dove i nomi prestigiosi dell’avanguardia artistica non sono altro che nomi? Credo di sì: qui, l’arte è riuscita là dove religione e politica non erano riuscite a fare altrettanto. Ma c’è voluta la capacità di ascolto di Maria Lai che ha saputo restituire la parola a un intero paese e rendersi partecipe della memoria e dei fantasmi della gente comune, aiutandola a liberarsi della parte distruttiva di sé e ad aprirsi con disponibilità nuova al colloquio e alla solidarietà
Filiberto Menna, 1982

Tuttavia su Legarsi alla montagna cadde il silenzio per oltre vent'anni e solo nel nuovo millennio maturò la consapevolezza che quel giorno Maria Lai aveva fatto la prima operazione di Arte Relazionale, ossia aveva reso il pubblico partecipe alla costruzione e alla definizione dell'opera stessa.
Ormai ristabilita nel suo paese d'origine, dopo anni di peregrinazioni, nel 1979 Maria Lai è contattata dal sindaco del paese Antioco Podda per realizzare un monumento ai Caduti in Guerra del posto, ma l'artista rifiuta. Per un anno e mezzo il Consiglio comunale e un gruppo di cittadini guidati dall'insegnante Alberto Cannas (nel 2006, sarà Presidente della Fondazione Stazione dell’Arte), discutono e promuovono l’idea di un’opera per il presente, come suggerito dall’artista. La gestazione della performance è molto lunga, fin da subito i popolani non condividono le dinamiche e si rifiutano di collaborare, le proposte della Lai suscitano infatti il risvegliarsi di antichi rancori tra abitanti. In seguito, Maria Lai confessò che le donne furono le prime a lasciarsi coinvolgere. Sul filo teso della discussione nascono le prime trattative non prive di compromessi: 

Lasciai a ciascuno la scelta di come legarsi al proprio vicino. E così dove non c’era amicizia il nastro passava teso e dritto nel rispetto delle parti, dove l’amicizia c’era invece si faceva un nodo simbolico. Dove c’era un legame d’amore veniva fatto un fiocco e al nastro legati anche dei pani tipici detti su pani pintau
Maria Lai 

Reinterpretando l'antica leggenda del paese, Sa Rutta de is'antigus, cioè La grotta degli antichi, Maria Lai trovava ispirazione in un fatto realmente accaduto ad Ulassai nel lontano 1861, quando crollò un costone della montagna travolgendo un'abitazione. Morirono tre bambine, ma una riuscì a salvarsi e aveva in mano proprio un nastro celeste. I popolani considerarono il fatto un miracolo divino e ne conservarono il ricordo, tramandando di generazione in generazione una versione in parte veritiera che, arricchita di fantasia, diventava leggenda sarda: per inseguire un filo azzurro che volava in cielo tra i fulmini, una bambina esce della grotta poco prima del crollo.

Quando Maria Lai concepiva Legarsi alla montagna, era un'artista che aveva avuto il suo primo importante riconoscimento alla Biennale veneziana di tre anni prima (1978). Ma il clima culturale stava già cambiando, lo sperimentalismo avanguardistico degli anni Settanta che aveva invaso piazze e città, lasciava il posto a un nuovo ritorno all'ordine. Ricompariva la pittura, imponente nei grandi formati della transavanguardia e il quadro, grazie a una favorevole congiuntura economica, tornava ad essere merce preziosa per gallerie e nuovi mercati. Contro la smaterializzazione dell'arte, ridotta a concetti minimalisti, fotografie e parole, i giovani artisti recuperavano la manualità, i valori tattili e visivi del colore, lo spazio dello studio, i pennelli, ma soprattutto l'intimità del creare. Maria Lai non aveva mai lasciato tutto questo, lo portava con sé nel quotidiano della sua esperienza creativa, per questo è stata capace di anticipare i decenni successivi. In Legarsi alla montagna infatti, c'è la consapevolezza del valore terapeutico dell'arte, c'è la cognizione profonda che è questo un canale per stringere legami e per riflettere sull'uomo e sul mondo. Maria Lai aveva fatto emergere ed ampliato tutti i significati dell'essere comunità e del vivere collettivo, un'operazione artistica molto politica la sua, stimolata da una bambina capace di salvarsi perché in grado di vedere nuovi mondi e modi di pensare.

Si ringrazia Archivio Maria Lai.