"Bella di notte" di Luciano Emmer

Un film sulla Galleria Borghese

Per i miei film sull'arte sono stato giudicato "blasfemo" da critici e storici dell'arte italiani, come se solo loro avessero il diritto di occuparsene …
Luciano Emmer, 1997

Quasi ottantenne, nel 1997, il regista Luciano Emmer (1918-2009) realizza uno dei suoi film sull'arte dedicato a uno scrigno romano di tesori, la collezione Borghese all’epoca riaperta al pubblico dopo un restauro decennale che ne aveva determinato la chiusura (La collezione di Scipione Borghese). 
Dal titolo evocativo "Bella di notte", il film narra una passeggiata notturna di Emmer nelle stanze della Villa, un viaggio guidato dalla sua voce e dal suo occhio curioso che, attraverso una torcia, illumina di volta in volta tele e gruppi scultorei preziosi. Quello di Emmer è un viaggio fisico, ma anche una metafora di un suo percorso di conoscenze ed esperienze di una vita trascorsa a "far luce", nella notte oscura e ignara del valore di tanta bellezza. 

Lasciati guardare Scipione Borghese, voglio capire chi eri e cosa volevi nella vita. La piega ironica del sorriso nelle tue labbra rivela il vero istinto, a differenza di tuo zio tu ricercavi il piacere nella vita. Il piacere era anche quello di fare tue le opere d’arte che desideravi possedere
Luciano Emmer, Bella di notte

In “Bella di notte”, promenade erudita e misteriosa, a tratti sensuale, il regista interroga le opere come fossero amici di vecchia data, veri e propri personaggi con i quali aveva iniziato un dialogo ininterrotto quasi cinquant'anni prima.
Luciano Emmer, infatti, è stato il pioniere del film sull'arte italiano. 
Dal 1938, prima di esordire con i suoi lungometraggi degli anni Cinquanta, il giovane allora residente a Milano sperimentava dei brevi documentari girati sulle riproduzioni d'arte all’epoca molto diffuse della nota ditta fotografica Alinari. 


Luciano Emmer, fotogramma di Racconto da un affresco, 1940 

Emmer era allora un "amatore d'arte" e regista alle prime armi che, assieme ai suoi compagni d'avventura, Enrico Gras e la futura moglie Tatiana Grauding, cercava di fare del cinema con mezzi artigianali. Il trio di giovani usava le classiche foto che negli anni Trenta e Quaranta informavano, con tutti i limiti dello standard, sia gli storici dell’arte, sia il fruitore comune di riproduzioni d’arte, come serbatoi dai quali attingere elementi profilmici. In Racconto da un Affresco (1940) e Paradiso Terrestre (1941), Emmer ritoccava opportunamente la foto con carboncino per far risaltare un personaggio o un dettaglio a seconda delle esigenze, oppure, scambiava il volto di un personaggio di Giotto, con uno più idoneo di Beato Angelico (Racconto da un affresco). 

La libertà di manovra e di espressione del giovane Emmer, nei confronti della fotografia d'arte e del fotomontaggio, trovava origini nella cultura milanese ed europea degli anni Trenta, caratterizzata dall’avanguardia Surrealista

Negli anni Cinquanta del Novecento, grazie ad un primo successo riscosso in Francia per i suoi molti film sull'arte dedicati a pittori del Quattrocento (Giotto, Bosch, Paolo Uccello, Beato Angelico, Botticelli, Piero della Francesca, Carpaccio), l'originalità di questi brevi racconti "romanzati" su scenari pittorici mutati in veri e propri set cinematografici, emerge con forza e si distingue dei classici documentari d'arte ancora accademici e in parte retorici. 
Emmer, infatti, si avvicinava alla pittura con la volontà di raccontare una storia. La natura sperimentale dei suoi film sull'arte, ben accolta dell'entourage del cinema, veniva denigrata dalla maggior parte degli storici dell'arte per quell’approccio sentimentale ad oggetti artistici "inviolabili". 

Con i film sull'arte Emmer dimostra la sua abilità di scrittura cinematografica

Il critico francese André Bazin recensiva i suoi film mettendo in evidenza come, il montaggio veloce, i sinuosi movimenti di macchina, i piani-sequenza e le animazioni, fino agli audaci dettagli pittorici mai visti prima, conferivano alla pittura una forte valenza realistica capace di catturare ampie platee. 


Luciano Emmer nel set di Leonardo, 1952

Nella sua carriera di autore di film sull'arte Emmer ha sempre dato prova di raffinatezza e grande singolarità. Fra i casi più eclatanti, la versione francese della “Leggenda di Sant'Orsola” (1948), tratta da Carpaccio, per la quale fece scrivere ed interpretare il commento da Jean Cocteau. Per “Goya” (1950), il regista gira un originale assolo di chitarra sulle mani di Andrés Segovia. Per “Leonardo” (1952), riceve il Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia: suo primo film a colori, qui il regista animava in truka i disegni del Maestro conferendo un movimento evocativo dell'evoluzione dell'idea artistica. 
E ancora, tra i successi degli anni Cinquanta, il suo “Picasso” (1954) girato in occasione della storica mostra di Roma e Milano. 

Emmer non poteva accettare di fare un film sull'artista più acclamato del momento senza incontrarlo; solo così era in grado di restituire agli schermi italiani tutto il fascino inedito di un Picasso in pantaloncini corti e a petto nudo, che disegnava e faceva ceramica nel suo studio di Antibes

In “Incontrare Picasso” (2000), film rieditato quasi cinquant’anni dopo, Emmer ripropone proprio la magia di quell’incontro rivisitato alla luce di una nuova cifra stilistica dove, quell’io narrante forte e profondo che aveva già sperimentato con “Bella di notte”, farà da guida anche a futuri film “biografici” dedicati al suo intenso lavoro con l’arte figurativa ("Viaggio ai confini dell’arte", 2004). 
Alla fine degli anni Cinquanta, Emmer girava i primi “Caroselli” pubblicitari televisivi dedicando attenzione particolare, ancora una volta, ad artisti viventi ("Sette pittori", 1957). 
Degli anni Sessanta, anche un film su Michelangelo (“La sublime fatica”, 1966), con Charlton Heston, purtroppo epurato dalla presenza dell'attore per motivi produttivi. Ma Emmer utilizzò il girato delle opere per dar vita a un’idea forte e suggestiva: il rumore ossessivo degli scalpelli sulla pietra, sovrapposto a quello del battito cardiaco, ad evocare l'affanno della creazione titanica. 
Negli anni Settanta, fino quasi al Duemila, Emmer lavora su progetti originali in parte coprodotti con Rai e privati (“La terra dei naïfs jugoslavi”, 1975; “La bellezza del diavolo. Viaggio nei castelli trentini”, 1988; “Il dramma di Cristo narrato da Giotto”, 1992). 
“Bella di Notte” arriva dopo tutto questo. Pertanto, il film rappresenta anche una "seconda primavera" di Luciano Emmer, un ritorno ambizioso alla regia di film sull'arte che, per altri dieci anni circa, si susseguiranno tra corti e lungometraggi (alcuni tutt'oggi inediti) nei quali porrà evidente la sua firma, la sua voce e le sue più intime emozioni. 
Questa “rêverie nocturne”, come l’autore amava definire “Bella di notte”, a inizio film esibisce un cartello con le parole di Irving Howe tratte dalla prefazione al libro di Henri Roth "Call it sleep":

Questo è uno di quei romanzi dove il lettore quando ha girato l'ultima pagina si accorge che ha vissuto interamente nella pelle del protagonista e tutto ciò che desidera è di poter riflettere in silenzio 

E aggiunge Emmer:

A volte un museo può essere come un romanzo…


Bella di notte; regia, montaggio, testo e voce: Luciano Emmer; Fotografia: Elio Bisignani; musiche: "Canto della Terra" di Gustav Mahler, eseguito dall'orchestra di Palestrina di Cagliari diretta dal maestro Nino Bonavolontà; produzione: Rai Due, 1997 Italia; 16mm., colore, 33min.

FOTO DI COPERTINA
Luciano Emmer, 2003