Jenny Offill, Tempo variabile

Jenny Offill, Tempo variabile

Resistere al caos

Jenny Offill, Tempo variabile
Un’emergenza globale incombe sull’umanità e una donna - madre, moglie, sorella, figlia, bibliotecaria, amica - cerca di fronteggiarla con i mezzi a sua disposizione: empatia, solidarietà, lucidità, curiosità, senso dell’umorismo. Tempo variabile di Jenny Offill (pubblicato da NNE nella traduzione di Gioia Guerzoni) racconta per frammenti la lotta quotidiana di Lizzie contro il caos: quello domestico causato principalmente dal fratello Henry, sempre pronto a ricadere nella tossicodipendenza e a innamorarsi delle donne sbagliate, e quello globale, rappresentato dal riscaldamento climatico. Come secondo lavoro Lizzie, che ha un marito, Ben, e un figlio piccolo, e che frequenta un corso di meditazione, risponde alle mail che arrivano a Sylvie, la sua docente universitaria impegnata sul fronte del cambiamento del clima (ecco un esempio delle sue risposte: “D: Quali sono i modi migliori per preparare i miei figli al caos imminente? R: Puoi insegnargli a cucire, a costruire, a coltivare. Però le tecniche per placare la mente possono risultare più utili”). Un romanzo che parla dell’oggi in modo diretto e anche umoristico, che ci fa riflettere sulla nostra debolezza e sui modi che abbiamo per resistere nonostante tutto.

Più tardi al lavoro, sfoglio qualche articolo di Psicologia della catastrofe sperando di riuscire ad aiutare tutte le persone che ultimamente vedo vagare sperdute da queste parti.
Gran parte della popolazione era depressa, intontita, e si riuniva in piccoli gruppi inquieti e suscettibili alle voci sulla fine del mondo.
Non so. Qui è più o meno così tutti i giorni. 


Jenny Offill è autrice di romanzi e di libri per bambini e insegna letteratura creativa. Il suo romanzo d’esordio Le cose che restano (NNE 2016) è stato. scelto come Notable Book dell’anno dal New York Times, mentre Sembrava una felicità (NNE 2015) è stato segnalato come miglior libro dell’anno da New York Times Book Review, New Yorker e Guardian. 

Di seguito l’intervista di Rai Letteratura.

Nel suo romanzo Tempo variabile lei descrive una situazione di emergenza. L’emergenza a cui si riferisce è quella del cambiamento climatico, ma potrebbe essere anche quella del Coronavirus (in Italia in questi giorni è impossibile pensare ad altro). Si può dire che la battaglia di Lizzie, la sua protagonista, contro il caos è valida per ogni situazione, in ogni parte del mondo?
Il Coronavirus ha capovolto il mondo. Il sistema sanitario degli Stati Uniti sta per essere sopraffatto e presso anche il nostro conto dei morti partirà a razzo. In Italia state già vivendo questo incubo e subire tante perdite deve essere terribile. Vedere i video degli italiani che cantano dai balconi la notte passata mi ha fatto piangere. Li ho mandati ai miei studenti universitari che avevano appena dovuto interrompere bruscamente i loro corsi. Ho scritto “cercate momenti di gioia in mezzo al terrore”. Se ho imparato qualcosa scrivendo, Tempo variabile, è che è importante prepararsi emotivamente ai disastri. Cosa non è facile. I nostri cervelli sono macchine che funzionano per schemi e spesso ci diciamo “non è possibile che questo stia succedendo” se non troviamo nella nostra mente un esempio di qualcosa di simile accaduto prima. È per questo che in America la gente va ancora in spiaggia e nei bar nonostante gli avvertimenti sempre più terribili. È per questo che l’11 settembre, quando le torri gemelle furono colpite, molte persone rimasero alle loro scrivanie o si misero a raccogliere le loro cose prima di cercare di scappare. Desideriamo disperatamente che un fatto tremendo non sia vero e per un po’ agiamo come se non lo fosse. Gli psicologi dell’emergenza chiamano questo comportamento “processo di assiepamento” ed è uno dei temi che tratto in Tempo variabile. Prima si capisce che sì, questa situazione nuova e difficile è la situazione attuale, prima si riesce ad adattarsi alle circostanze e a sopravvivere. Il ruolo dell’arte in una crisi, che sia letteratura, musica o danza, è ricordarci del nostro legame con tutti quelli che ci sono stati prima di noi e che hanno sofferto grandi dolori e sperimentato grandi gioie. Siamo tutti legati da un filo invisibile. A volte (come in questa pandemia) il filo diventa per un po’ visibile.

Lizzie si prende cura delle persone, della sua famiglia, ma anche del tassista rimasto senza clienti, delle persone ansiose che scrivono a Sylvie che ha un blog sul cambiamento climatico… La sua è la chiave per restare umani?
Sì, credo che l’empatia sia parte di quello che ci permette di restare umani. In Tempo variabile parlo di come la riceca abbia dimostrato che aiutare gli altri in tempi di disastri aumenta le possibilità di sopravvivenza dell’individuo. Uno degli studi riguardava il motivo per cui tanti infermieri e dottori siano sopravvissuti ai campi di concentramento nonostante le terribili circostanze. La conclusione era che avevano un compito da svolgere, prendersi cura degli altri, e che avere un compito dava un senso alla loro esistenza anche in una situazione così disumanizzante. La mia narratrice, Lizzie, non può non pensare agli altri. È stata allevata così dalla madre che dava via il cibo dei giorni di festa se vedeva persone bisognose. Ma più Lizzie indaga sul caos provocato dal cambiamento climatico, più s’imbatte in una scoperta della psicologia dell’emergenza: se aiuti qualcuno, sei in grado di rivedere la tua situazione in modo più positivo. Non sei solo una vittima, ma un soccorritore. Insieme a Tempo variabile ho creato un sito che ha una sezione dal titolo"Tips for Trying Times" (Consigli per tempi difficili) che dà molti esempi al riguardo.

Perché ha scelto una struttura frammentaria? Era la più adatta a seguire i pensieri di Lizzie?
Volevo una forma che seguisse il procedere per associazioni che governa il nostro modo di pensare. Magari uno sta pensando alla propria famiglia, ma poi una battuta o un’informazione che ha sentito s’insinuano nei suoi pensieri e il registro cambia. In Tempo variabile ho esplorato come come possa sembrare strano da una parte pensare su larga scala a minacce come il cambiamento climatico e dall’altra preoccuparsi di far tardi a scuola per prendere il proprio figlio. È una cosa che  sperimentiamo tutti, soprattutto ora, e trovo che dividere il racconto in schegge narrative ricrei meglio questo modo di pensare. I piccoli spazi bianchi tra ogni sezione sono pensati come luoghi in cui il lettore possa fare una pausa e raccogliere i propri pensieri prima di immergersi nella prossima idea. Uso anche uno schema domanda e risposta per parte del libro perché la narratrice risponde alle domande degli ascoltatori sui peggiori scenari che ci aspettano nel futuro. Ma per me era importante che sotto questo scenario di grandi preoccupazioni esistenziali, ci fosse anche una tenera storia di vita familiare in cui potersi riconoscere con tutta la sua noia e il suo calore.

Parliamo del tono della storia, un tono insieme cupo e divertente. Come ha trovato la voce di Lizzie?
Per me c’è sempre qualcosa di assurdo che corre sottotraccia. In Tempo variabile, Lizzie si appassiona sempre più nell’impresa di dare consigli per prepararsi al disastro. Impara un sacco di cose ridicole (per esempio come fare una candela da una scatoletta di tonno sott’olio) o come bisognerebbe masticare una gomma durante una crisi per ingannare il cervello, facendogli credere che sia tutto normale. Ho inserito momenti distensivi nel romanzo in modo da non rendere soverchianti le parti cupe. Credo che ridere sia una delle cose che rendono la vita degna di essere vissuta. Mi dà speranza sentire le serenate che gli italiani si fanno da un balcone all’altro. Penso spesso ultimamente a quello che Bertolt Brecht scrisse durante la Seconda Guerra Mondiale:
In tempi bui
Ci saranno anche canti?
Sì ci saranno canti. 
Sui tempi bui.

Vi auguro forza e speranza in questi tempi bui. State bene.