Fryderyk Chopin, poeta del pianoforte

Il 17 ottobre 1849 moriva il grande compositore polacco

Secondo molti critici, senza di lui non sarebbero neppure immaginabili Liszt, Brahms e Debussy. Altri lo hanno definito “il poeta del pianoforte”, col quale «cantò» le proprie passioni – umane e politiche (il desiderio di libertà per la sua Polonia) -, la propria malinconia, i propri fantasmi interiori, trasformandoli – tutti – in un linguaggio musicale originale e ardito, che non assunse mai, però, in lui che aveva studiato e amato la classicità di Bach e di Mozart, i toni della sfida al passato. Di Fryderyk Franciszek Chopin ricorre il 170° anniversario della morte, avvenuta il 17 ottobre 1849 a Parigi, dove si era trasferito, dalla natia Polonia e dopo una breve sosta a Vienna, fin dal 1831, all’età di ventuno anni. A otto, si era esibito pubblicamente nel suo primo concerto, a diciannove, era iniziata la sua carriera “ufficiale” di (sorprendente) pianista.

È questa straordinaria perfezione stilistica, questo dono di tutto tramutare in poesia, senz’ombra di residui prosastici, che dà senso al consueto paragone tra Chopin e Leopardi, più ancora che le analogie di contenuto umano, così dolente, pessimistico e sconfitto. Ché mentre il dolore leopardiano si amplia a risonanza cosmica, quello di Chopin rimane d’ordine strettamente personale – al più, patriottico – e la sua universalità la ripete unicamente dall’arte
Massimo Mila, musicologo

Nella capitale francese conobbe e frequentò alcune tra le “migliori menti della sua generazione”: Felix Mendelssohn, Franz Liszt, Vincenzo Bellini, Eugène Delacroix (che ne farà un ritratto), Heinrich Heine, George Sand, figura determinante per la sua arte e per la sua vita, e con la quale vivrà una relazione a dir poco tormentata. Quando i due si conobbero, il musicista era già gravemente malato di tubercolosi. Si vedranno per l’ultima volta nel marzo del 1848, quando lei era sposata da un anno con lo scultore Jean-Baptiste Clésinger, che, di lì a poco, avrebbe realizzato il monumento funebre di Chopin nel cimitero di Père-Lachaise. In quell’occasione, come raccontò lei stessa, strinse la sua mano tremante e ghiacciata. Avrebbe voluto parlargli, ma lui scappò via.

Poco avvezzo alla polifonia strumentale, Chopin compose soprattutto per pianoforte, ottenendo esiti sbalorditivi. I 24 Studi nascono, si potrebbe affermare, proprio dalle risorse stesse dello strumento.

Per lungo tempo, i pianisti hanno lavorato contro la natura cercando di dare a tutte le dita una uguale capacità. Al contrario ognuna delle dita dovrebbe avere una propria funzione. […] vi sono dunque diverse specie di sonorità come ci sono diverse dita. Si tratta di utilizzare queste differenze. Questa è, in altre parole, l’arte del diteggiare
Fryderyk Franciszek Chopin

L’inquieto lirismo di Chopin si dispiega, però, al meglio, nei Notturni, il cui «scenario» è tutto intimo e, forse, inconscio. Le Mazurche e le Polacche annunciano, invece, la nascita del nazionalismo musicale, con il loro linguaggio nutrito e irrobustito da ispirazioni popolari.
Gli ultimi Notturni, così come le ultime Mazurche, sembrano indicare che l’arte di Chopin si stesse trasformando verso qualcosa di più articolato, più permeabile alla vigorosa tecnica del romanticismo tedesco. Ma di questa ipotetica evoluzione non ci è dato che di immaginare. La storia, si sa, non si fa con i se. Tantomeno quella della musica.

Il nucleo centrale del video proposto presenta il Concerto n. 1 in mi minore, per pianoforte e orchestra op. 11. Chopin lo compose nel 1830, e fu eseguito per la prima volta l’11 ottobre dello stesso anno, a Varsavia. L’autore stesso era al piano e può essere considerato come una sorta di biglietto d’addio alla patria, che si apprestava a lasciare. Sebbene sia il suo secondo concerto, fu numerato diversamente, perché pubblicato per primo. È dedicato a Friedrich Kalkbrenner, pianista, compositore e didatta tedesco, che Chopin ammirava moltissimo.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI diretta da George Pehlivanian. Pianista: Christian Zacharias