Piranesi e l'Aventino

Una mostra del 1998

S’inganna chi si fa a credere, che la molteplicità degli ornamenti sia quella che offende l’occhio, e lo confonde … non è la molteplicità degli ornamenti quella che offende l’occhio, de’ riguardanti, ma sibbene la cattiva loro disposizione
Giambattista Piranesi

Un filmato storico sulla piccola e preziosa mostra Piranesi e l'Aventino (Notte e cultura, 1998), curata dalla storica dell'arte Barbara Jatta, qui intervistata per l'occasione.
L'esposizione era stata organizzata in occasione del decennale di Frà Andrew Willoughby Ninian Bertie (1929–2008), il primo religioso britannico ad assurgere a carica di settantottesimo Principe e Gran Maestro del Sovrano Ordine Militare di Malta (1988-2008).
L'esposizione curatissima, realizzata all'interno della chiesa di Piranesi, Santa Maria in Aventino, trasformata in museo temporaneo, ospitava disegni preparatori del progetto, libri e trattati antichi, tele con vedute del posto e incisioni dell'artista e suoi contemporanei. La Chiesa del Priorato - come detta più comunemente - illuminata con luci soffuse, appariva nel suo fascino oscuro, un po' riservata e appartata nel silenzio ossequioso di sacello funebre dell'Ordine, qual'era il suo scopo. Qui, a metà navata destra, trova spazio anche il Monumento funebre di Piranesi dove l'artista, a figura intera, effigiato in abiti antichi, riposa nella sua città eterna che lo aveva accolto ed omaggiato in vita. 



La mostra inoltre, presentava la storia dell'antico colle Aventino, retto a picco sull’emporio del Tevere davanti all’isola Tiberina, una vicenda secolare intimamente legata all'Ordine di Malta (La storia secolare del Sovrano Ordine dei Cavalieri di Malta). Intorno al X secolo, era ubicato un monastero benedettino fortificato che, poco dopo il mille, passò ai templari e in seguito ai Cavalieri di Malta che vi insediarono il loro Priorato. Nel 1764 il nipote veneziano di Clemente XIII, cardinal Rezzonico, Gran Priore romano dell'Ordine di Malta, affidava a Piranesi la ristrutturazione del Complesso, che qui, ebbe la sua unica occasione di esercitare da architetto. Piranesi intervenne demolendo le strutture del monastero altomedievale e conferendo un nuovo assetto monumentale al Complesso che sorgeva tra le vigne. Rafforzò i terrapieni dei giardini, realizzò un cannocchiale prospettico sulla cupola di San Pietro, risistemò la villa cinquecentesca, consolidò le fondazioni della chiesa, rialzò i muri laterali e ristabilì la volta. Infine, creò la piazza antistante dei Cavalieri di Malta, un'ampia iconologia che celebrava le glorie dell'Ordine e i meriti dei Rezzonico. In tal modo, Piranesi crea un intreccio simbolico e allusivo della rinascita dell'Aventino, il colle più antico di Roma, il cui nome rimanda alle leggende sulle origini dell'Urbe (Piranesi torna alla luce).

Se faranno fare qualche fabbrica al Piranesi, si vedrà cosa puol produrre la testa di un matto, che non ha verun fondamento. Né ci vuole un pazzo per terminare la tribuna di San Giovanni in Laterano, benché il Borromino, che ristaurò la chiesa, non fosse uomo molto savio
Luigi Vanvitelli

Piranesi lavora sull'Aventino in un periodo fecondo di incarichi e riconoscimenti prestigiosi. Clemente XIII Rezzonico, lo aveva inviato a studiare i restauri all'interno del Pantheon e ad intervenire sul piedistallo della Colonna di Marco Aurelio. Nel 1763, Piranesi era stato incaricato di modificare l'abside della basilica di San Giovanni in Laterano, intervenendo così nella precedente opera di Francesco Borromini (1646-1649) mai portata a termine. Contemporaneamente, Piranesi elaborava audaci studi sull'architettura e sul maestro molto ammirato, protagonista seicentesco della Roma barocca (Il Barocco nell'architettura), confluiti in uno dei suoi testi teorici più importanti, Parere sull'Architettura (1765). Qui Piranesi allude all'architetto ticinese, immaginando un dialogo immaginario fra due personaggi, Didascalo e Protopiro, che dibattono ognuno per affermare il proprio credo, sulla contemporanea querelle greco-romana. Da una parte i puristi, critici e teorici come Winckelmann, o artisti come Mengs e Canova (Neoclassicismo) che sostenevano la semplicità, l'austerità e il funzionalismo dell’architettura greca, dall’altra Piranesi che inneggiava alla complessità delle costruzioni dell’ingegneria romana, alla varietà di forme etrusche e contaminazioni di decori egizi (Piranesi, l'Egitto e il Circolo dell'Archetto romano). Nella facciata della Chiesa del Priorato, Piranesi fa un uso esuberante di ornamenti simbolici e celebrativi e impagina il prospetto fuori da ogni norma classica, mascherando il misero rivestimento cinquecentesco di travertino, con una originale copertura di decorazioni bianche, eseguite con lo "stiacciato", tecnica recuperata degli antichi rilievi imperiali e delle colonne romane.

I rigidi dettami classici dell'arte di accademia, sono messi in discussione da un Piranesi "irregolare", un artista che rivendica la libertà creativa in nome di una nuova consapevolezza ed autonomia del fare e del creare



Nella Chiesa di Santa Maria in Aventino, Piranesi progetta una soluzione che introduce all'altare, creando una sorta di filtro di accesso grazie a una doppia luce direzionata che esalta il San Basilio in gloria. Il grande gruppo scultoreo, invita a girare attorno svelando la doppia faccia di una macchina teatrale con un fronte barocco e un retro pulito e semplice. L'omaggio a Borromini è indubbio, ma questa leggerezza aerea fatta di luci che s'intrecciano a creare schermi, Piranesi l'aveva vista fin da giovane, muovendo i primi passi dentro le basiliche veneziane cinque-seicentesche di Andrea Palladio (Redentore, San Giorgio Maggiore) e Baldassare Longhéna (Santa Maria della Salute) e sicuramente, nella bottega dell'incisore Carlo Zucchi, dove imparava la prospettiva e le innovazioni scenografiche dai trattati di Ferdinando Bibbiena.
Il critico Francesco Dal Co, per definire la grandezza di Piranesi e la sua "malinconia" di artista moderno e incompreso dai suoi contemporanei, chiamava in causa la figura retorica del Giano Bifronte, emblema degli opposti messi in scena nel Parere, dove nessuno dei due protagonisti della querelle usciva vincitore e ognuno rimaneva fedele ai propri assunti:

… Due facce inconciliabili, irriducibili l'una all'altra, tra le quali non vi è comunicazione diretta … Ma l'una faccia è necessaria all'altra; un volto senza l'altro resterebbe muto come i busti degli antichi filosofi
Francesco Dal Co, Piranesi e la Malinconia, 2000