Gian Marco Griffi, Ferrovie del Messico

L'epopea di Cesco

Un giovane milite della Guardia ferroviaria di Asti nel 1944 viene incaricata di redigere una mappa delle ferrovie del Messico. Dietro (ma Cesco non lo sa) c’è addirittura il Führer a cui è stato detto che grazie a questa mappa si troverebbe un’arma segreta per vincere la guerra. Comincia così il fluviale romanzo di Gian Marco Griffi, Ferrovie del Messico, pubblicato da Laurana. Griffi segue il suo protagonista, dolorante per un dente che non gli dà tregua, in biblioteca (dove conosce la bella Tilde di cui s’innamora), al cimitero, in un night club, su un campo da golf. Di peripezia in peripezia, Griffi cambia narratore e punto di vista, inserisce lunghe digressioni, illuminando il clima violento e teso che si respirava in quel particolare momento storico, e riproducendo di volta in volta lo stile dei suoi grandi modelli ispiratori da Gadda a Joyce da Borges a D'Arrigo e riesce così nell’impresa di raccontare l’imprevedibilità della vita, la sua molteplicità e la nostra irrilevanza.

Non m'intendo di fotografia, ma se la fotografia è davvero l'arte del mostrare di quanti istanti effimeri e irrisori la vita sia fatta, e se rivelandoli permette di scoprire quante emozioni si celino nell'effimero e nell'irrisorio, nel marginale e nell'irrilevante, tante che si potrebbe ben dire che la vita stessa è un susseguirsi ingarbugliato e irrisolto di momenti effimeri e irrisori (i momenti rilevanti ed essenziali altro non sono che nodi sciolti dal fato, o dalla volontà umana che si ribella a esso), allora le fotografie della signorina Tilde erano indiscutibilmente frammenti di verità portate a riva, come quei rametti che la risacca del mare abbandona sulla battigia.


Gian Marco Griffi vive a Asti. Ha pubblicato: Più segreti degli angeli sono i suicidi, Bookabook 2017; Inciampi, arkadia 2019.